I dati PMI della scorsa settimana ed in particolare gli input cost price segnalano che, su scala globale, siamo probabilmente oltre al picco dell’inflazione. I PMI hanno confermato inoltre i timori su un progressivo aumento dei rischi di recessione. Sul fronte inflativo permangono in Europa ancora segnali di tensione dovuti principalmente alle dinamiche dei prezzi del gas naturale. Alcuni elementi lasciano presupporre un allentamento delle pressioni.
Diversi sono i banchieri che hanno dichiarato di aver commesso importanti errori di valutazioni nello stimare lo sviluppo dell’inflazione. Janet Yellen è stata tra i primi ad ammettere l’errore quando le è stato chiesto da Wolf Blitzer della CNN in “The Situation Room” di commentare le indicazioni rilasciate già lo scorso anno secondo cui l’inflazione rappresentava solo un “piccolo rischio” – “Penso di aver sbagliato allora sul percorso che l’inflazione avrebbe preso”, ha detto la Yellen. Ora ritorno ad essere ottimista su Bloomberg.
In Europa stiamo seguendo con estrema attenzione l’evolversi delle quotazioni dell’ancora benchmark di settore per l’energia, il Dutch TTF sul natural gas. La scorsa settimana le quotazioni hanno fissato una chiusura sotti i minimi di quella precedente. Ciò continua a confermare le nostre previsioni formulate ancora il 2 settembre quando il mercato quotava poco sotto il picco 340 eur mwh ed il mondo sembrava intonare il De Profundis della manifattura europea. Per carità, siamo ancora in una condizione emergenziale, in balia di eventi esogeni (sabotaggi etc.) in grado si sovvertire il precario equilibrio su cui ci stiamo muovendo. I leader Ue non hanno trovato un accordo sul ‘price cap’ al gas nel vertice di Praga. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha affermato che presenterà altre proposte sull’energia nelle prossime settimane.
In questo ambiente estremamente articolato si continuerà a guardare ai dati sulla produzione da un lato e quelli sull’inflazione dall’altro per comprendere se siamo in presenza di un picco inflativo o meno.
Partiamo quindi dalle vendite al dettaglio statunitensi e i dati sull’inflazione saranno in calendario questa settimana, giovedì 10: il mattino avremo i dati per la Germania attesi sui massimi al 10% per settembre (invariato rispetto al precedente), nel pomeriggio gli Stati Uniti riporteranno il loro dato. Qui l’attesa si posiziona la ribasso, 8,1% rispetto all’8,3% di agosto. Il picco rimane a giugno quando il CPI fissò a 9,1%.
Da alcuni mesi seguiamo i dati PMI relativi ai costi industriali, input price cost, che copre i prezzi medi pagati per molteplici fattori produttivi tra cui materie prime, energia, affitti, servizi acquistati e salari. Dai sondaggi emerge ancora una volta un allentamento delle pressioni. Benché il dato risulti ancora elevato l’indice è sceso al livello più basso da un anno a questa parte.
La situazione ovviamente varia su scala geografica, con il calo delle pressioni inflazionistiche più evidente negli Stati Uniti. L’allentamento dei vincoli di offerta, il calo delle scorte, il calo dei prezzi del petrolio e il raffreddamento della domanda hanno alleviato la pressione sui costi delle imprese, così come il dollaro più forte. Tuttavia, la crisi energetica legata alla guerra in Ucraina ha comportato nel frattempo una nuova accelerazione delle pressioni sui costi in Europa, esacerbate dall’indebolimento delle valute sterlina ed euro. Un effetto valutario simile è stato evidente in Giappone, dove sono aumentate anche le pressioni sui prezzi.
Il mercato si pone l’interrogativo se il dato di questa settimana sul CPI potrebbe influenzare le decisioni della FEd, chiamata a decidere sui tassi nella riunione di novembre. Al momento la curva sconta oltre il 90% delle probabilità che possa annunciare un nuovo rialzo di 75 bp. Il 27 ottobre invece si riunirà il Consiglio della BCE. Anche in questo caso l’attesa è orientata ad un rialzo di analoga misura.
In Cina si cerca di capire segnali che le misure di contenimento COVID-19 in corso probabilmente hanno continuato a frenare l’attività economica, pur sopprimendo anche le pressioni sui prezzi.
Tuttavia i dati che osserviamo sul lato input, nonchè le quotazioni delle principali commodity industriali fanno pensare che presto potremmo vedere un cambiamento di tono da parte delle banche centrali.
Le pressioni sui costi globali diminuiscono ulteriormente indicando un allentamento dell’inflazione in un ambiente in cui cresce il rischio di recessione
Le indagini PMI di settembre hanno indicato un secondo mese di calo dell’attività economica globale, completando il peggior trimestre di calendario dal 2009, se si escludono i mesi di blocco causati dalla pandemia. Le pressioni inflazionistiche, misurate dall’indice dei costi di input PMI (che copre i prezzi medi pagati per una varietà di input, tra cui materie prime, energia, affitti, servizi di acquisto e salari) pur quotando ancora valori elevati, evidenziano su scala globale un rallentamento importante (minimo degli ultimi 18 mesi).
I dati alimenteranno il dibattito sul fatto che i responsabili politici, in particolare negli Stati Uniti, inizieranno a vedere il loro aggressivo inasprimento della politica come un aiuto per raffreddare le pressioni inflazionistiche. L’aumento del rischio concomitante di una recessione globale potrebbe anche potenzialmente incoraggiare ulteriormente un cambiamento di tono per quanto riguarda il grado richiesto di ulteriore inasprimento. I prossimi verbali del FOMC, nonché i dati sulla fiducia dei consumatori statunitensi e sulle vendite al dettaglio, forniranno ulteriori indicazioni al riguardo.
La BCE si trova ad operare con uno sfasamento temporale rispetto alla FED, ma pensiamo che anche in Eurozona possiamo essere vicini al picco. In questo caso il rientro dei prezzi del gas rappresentano un fattore determinante.