La Cina ha in programma di allentare i controlli sul tasso di cambio dello yuan?
Il tema ha investito l’attenzione del mercato dopo che un alto funzionario della banca centrale ha affermato che lo yuan deve essere lasciato fluttuare liberamente al fine di renderlo a tutti gli effetti una valuta internazionale
L’interrogativo si è recentemente aperto a seguito delle dichiarazioni rilasciate in un articolo dal responsabile dell’Istituto di ricerca finanziaria presso la PBOC, Zhou Chengjun,
“la Cina deve rinunciare al controllo del tasso di cambio dello yuan per ottenere l’internazionalizzazione” al pari del dollaro o dell’euro.
La banca centrale cinese non ha intenzione di modificare il suo meccanismo di cambio, ha risposto alla sollecitazione uno dei suoi vice governatori, respingendo la speculazione secondo cui lo yuan potrebbe essere autorizzato a muoversi più liberamente contro altre valute.
Liu Guoqiang, vice governatore della PBoC, in una breve dichiarazione pubblicata sul sito web della Banca Popolare Cinese ha risposto sostenendo che l’attuale sistema di “tasso di cambio fluttuante gestito” rappresenta “un accordo istituzionale strutturato per la Cina per il presente e per il prossimo futuro”.
Nella dichiarazione di Liu non si fa menzione diretta dei commenti del capo economista Zhou.
Ciò nonostante il usd cny è scivolato sino a verificare significativi livelli tecnici fissando questa mattina un minimo a 6,3950. La criticità del livello potrebbe imporre una reazione del biglietto verde. abbiamo segnalato nel grafico i due livelli verso cui ile negoziazioni potrebbero reagire nelle prossime ore.
Con molta probabilità le riflessioni dell’economista cinese indicavano una strada, un ulteriore apprezzamento dello yuan, per mitigare gli effetti del rialzo dei prezzi delle materie prime. Oggi i mercati, a seguito degli stimoli monetari quotano diversi squilibri tra i prezzi degli attivi. Per squilibrio intendiamo l’eccessiva velocità con cui i prezzi si sono mossi rispetto alla scala temporale. La velocità di trasmissione degli effetti stimolativi rispetto alle dinamiche di prezzo, ha spinto a nostro giudizio gran parte delle quotazioni, materie prime e titoli azionari, verso un ‘espansione dei loro valori mandando in cortocircuito, nel caso delle commodity, la capacità di assorbimento del loro rialzo sui prezzi input ed output delle aziende.
La debolezza del dollaro ha esacerbato queste dinamiche. Le commodity sono regolate in dollari, tutti i mercati a termine sulle materie prime quotano in dollari. Il rapporto di correlazione tra le une e la divisa americana è negativo, per cui quando le prime si apprezzano il dollaro tende a deprezzarsi e viceversa. La debolezza accusata dal dollaro nell’ultimo anno, ma soprattutto nell’ultimo mese ha stressato ulteriormente queste dinamiche.
Di conseguenza il problema sollevato da Zhou Chengjun, il capo economista dell’Istituto di ricerca della PBoC, andrebbe rapportato in generale al dollaro. Non c’è dubbio che la domanda di commodity rigenerata dalla ripresa globale abbia fatto da leva ai prezzi, come non c’è dubbio che l’eccessiva presenza di liquidità nei mercati abbia portato grandi quantità di denaro speculativo sul comparto. Questa continua stimolazione delle banche centrali è all’origine della debolezza del dollaro in particolare. Sull’opportunità di proseguire con queste azioni si sono aperti interrogativi a vari livelli, anche all’interno dei rispettivi consigli direttivi delle banche centrali.
Alcune banche polarizzate all’area del dollaro, Banca Centrale canadese, neozelandese, australiana hanno già avviato o progettato una fase di tapering o di avvicinamento all’aumento dei tassi, mentre si fa sempre più serrato l’interrogativo sulla Fed. I vertici della Riserva Federale, Powell presidente e Clarida vicepresidente, hanno stemperato le attese, mentre altri membri del Consiglio, come ad esempio Bullard, sostengono l’opportunità di avviare il tapering. La questione è di assoluta criticità: da un lato riequilibrerebbe le distorsioni attualmente sempre più cogenti, dall’altro rischierebbe di incrinare la tenuta del bull market azionario.
Noi pensiamo che dopo un lungo periodo di assistenza ai mercati, avviato dopo il crollo del 2008, i tempi siano maturi per avviare un riequilibrio dei multipli.
Da diverse settimane segnaliamo la presenza di una fase di distribuzione dei prezzi di molti titoli azionari e di conseguenza degli indici di borsa americani. Una fase simile si era aperta agli inizi dell’anno sul mercato azionario cinese. Ne avevamo dato evidenza anticipando gli effetti correttivi degli indici relativi già agli inizi dell’anno. L’avvio di una restrizione del credito in Cina ha spinto successivamente il mercato azionario in un bear market che pensiamo sia di breve estensione.
Accanto alla distribuzione avviata al NYSE ed al Nasdaq nelle ultime settimane, si sono aggiunti alcuni segnali correttivi sulle commodity industriali. A metà giugno le due principali banche centrali, BCE e Fed si riuniscono per aggiornare l’Outlook per il secondo semestre 2021 e fissare la guidance e le line guida di politica monetaria. Cosa decideranno i rispettivi board? Sarà l’occasione per preparare i mercati ad una svolta?
C’è molta incertezza. Christine Lagarde continua ad affermare la linea dovish, come pure Powell, ma i loro consigli premono. Da un lato i consiglieri tedeschi premono per il ritiro o la revisione del Pepp, dall’altro quelli americani già nel consiglio di aprile avevano chiesto l’avvio del tapering.
Attendiamo sorprese. I segnali presenti sul mercato privilegiano una linea meno accomodante sul fronte europeo, ancora dovish su quello americano. Le evidenza che si riscontrano sui prezzi dell’eur usd potrebbero risultare fuorvianti. Avremo modo nei prossimi giorni di ritornare sul tema e prepararci all’appuntamento dell’estate. Nel frattempo seguiamo con attenzione il range 1,2270-1,2160: la violazione potrebbe anticipare qualche segnale. Ci stiamo preparando.