E’ finito il ciclo rialzista dell’S&P 500? Carl Icahn ha deciso di liquidare le sue posizioni lunghe in Apple, La Grande Mela. Nella storia degli ultimi 30 anni Carl Icahn rappresenta l’alter ego di Gordon Ghekko, ha firmato le più brillanti operazioni di acquisizione negli anni 80 e 90, sua è stata la prima più grande OPA alla RJR Nabisco. Per Forbes è uno dei business man più influenti. Carl Icahn ha deciso di vendere la partecipazione in Apple!
E’ la fine di un ciclo? non lo sappiamo, la storia che il futuro ci racconterà saprà dare un senso alle cose.
Tuttavia appare piuttosto chiaro che Apple abbia completato un ciclo, e quoti valori oltre l’iperbole del successo. Wall Street, il cuore dei mercati, non appare più in grado di reggere le quotazioni attuali, attorno le borse periferiche manifestano già situazioni di criticità. Cosa significa tutto ciò?
Osserviamo un livello di disorientamento molto significativo tra i risparmiatori e gli investitori. Il momento non è facile. I mercati azionari hanno recuperato rispetto ai minimi di febbraio, ma non tanto da giustificare una certa rilassatezza. Nel contempo l’unico indice ad assorbire le perdite di inizio anno è lo Standard & Poor 500, non un mercato qualsiasi quindi, bensì quello più significativo per capitalizzazione e per gerarchia d’importanza.
Può bastare per mettere gli animi in pace? La risposta è no!
No!, nonostante sia stato dato notevole sostegno ai corsi. No perché i prezzi esprimono valutazioni elevate. No perché attorno, mentre il cuore sta in piede, il sistema periferico che lo circonda vacilla, cade. Quantomeno si regge a fatica.
In America il ciclo è maturo, utili e vendite delle aziende regrediscono sia sul lato del business più tradizionale che su quello tecnologico. Apple che unisce l’uno all’altro e che rappresenta la corporate America, interpretandone i valori, denuncia per la prima volta nella sua storia un crollo significativo delle vendite del suo prodotto flagship: l’I Phone. Il titolo perde dai massimi dello scorso anno il 30%. Osservando in filigrana il rialzo dell’S&P 500 emerge che il maggior contributo sia stato dato dai buy back, mentre in contemporanea le mani forti, gli investitori istituzionali, ne approfittavano per distribuire, liquidando le loro posizioni.
I recenti dati macro pubblicati a ruota negli USA hanno messo in evidenza una striscia poco confortante, a tal punto che la Fed, secondo noi, non ha alcun desiderio di aumentare i tassi almeno per quest’anno.
Nel frattempo le commodity si sono apprezzate: il petrolio sta trascinando, o meglio ispirando, il rialzo dell’intero comparto. Per la verità notiamo un certo affanno nel replicare il rialzo del greggio nel caso dei metalli non ferrosi. L’oil, invece, a dispetto delle previsioni di GS a 20 usd il barile, è risalito sino a sfiorare i 50 usd/bar dai minimi dei 27 usd fissati a febbraio. Abbiamo così raggiunto il primo dei ns target a 44/45 usd e ci stiamo avvicinando al secondo target stimato a 52 usd/bar. Purtroppo di questa ripresa non troviamo traccia sui mercati azionari; nel comparto energy la performance dei veicoli d’investimento dedicati è certamente apprezzabile ma non dello stesso tenore.
Le materie prime da sempre hanno funzionato come proxy per il rialzo dei mercati azionari, per cui appare plausibile chiederci se questo rally possa trascinare alla fin fine anche le borse. La risposta non può che essere articolata. Noi pensiamo che il rally delle commodity, e più in dettaglio del petrolio, risponda, in questi tempi inediti, alla necessità di mettere in un miglior equilibrio situazioni altrimenti troppo critiche. Pertanto il rialzo non ha basi solide. Infatti ci attendiamo anche in questo caso uno storno una volta raggiunto i nostri livelli di target (area 52 usd/bar WTI), per aprire, successivamente, una lunga fase di accumulazione utile a riportare i prezzi successivamente oltre area 50 e posizionare una nuova tendenza espansiva con obbiettivi a 70 usd/bar. Il setup di questa fase si completerà probabilmente agli inizi del prossimo anno. A quel punto i mercati saranno pronti per cogliere l’ispirazione ed invertire il loro trend. Nel frattempo temiamo che l’estate e più ancora l’autunno, possano esprimere nuove situazioni di difficoltà. Difficoltà a cui ci siamo preparati per tempo e che vorremmo affrontare con lo spirito giusto, ovvero completamente scarichi di azionario. La condizione adeguata per cogliere opportunisticamente le occasioni.
In questo quadro l’Europa appare più vulnerabile. Vi sono sempre molti ostacoli sul cammino dell’Unione: sin da subito Brexit, i nuovi negoziati con la Grecia, le rinnovate criticità della Spagna e del Portogallo. In Italia il Governo ha lanciato la sfida per il referendum sulla riforma Costituzionale. Ci sono le amministrative. Qualora in autunno accusasse il colpo o, semplicemente un esito sotto tono, avremmo un Governo debole che affronta la Legge di Stabilità senza un adeguato consenso politico.
Mentre saremo distratti dalla dialettica politica assisteremo probabilmente all’emissione di bonds governativi a 50-100 anni a tassi straordinariamente bassi. I giornali sono già entusiasti.
Al proposito, noi pensiamo invece che siano strumenti adeguati soltanto per un pubblico esperto ovvero professionale. Semplicemente pensiamo che gli attuali acquisti di bond, che esprimono ancora rendimenti positivi, quindi con duration oltre gli 8 anni, vadano manipolati come la nitroglicerina. E’ facile venderli al risparmiatore inesperto, cioè quasi tutti! Questa rispettabile categoria di persone, che dispone di una materia prima indispensabile per il sostentamento dell’economia, il risparmio, oggi è profondamente disorientata. Chi cerca le certezze per il presente compra i rischi di domani! E che rischi.
Nel momento in cui ripartirà, come tutti speriamo, il rialzo dei tassi anche in Europa, tutti i bond comprati oggi all’1,4% subiranno drastiche perdite. Figuriamoci quelli con scadenze a 50 anni: nel caso del rialzo dei tassi pari all’1% il corso dei bond relativi potrebbe subire perdite pari al 18%. Vi è il rischio concreto che gran parte degli investitori privati a quel punto decida di portarli a scadenza per recuperare il capitale perso!
Sempre sottolineando i rischi raccomandiamo di osservare lo spread ormai stabilmente vicino ai livelli di guardia, 150 punti base. L’accumulo di stock del debito preoccupa i mercati; la loro fiducia è temporanea e correlata esclusivamente all’azione di allentamento monetario della BCE, ovvero al costante acquisto mensile riservato ai bond governativi fintantoché mantengono la condizione di Investment Grade.
Ogni atto del Governo o della Commissione Europea, ogni evento politico, ogni polemica tra una cancelleria e l’altra, rischia di mettere in allerta quanti investono su queste latitudini, dove proprio per il rischio emergente conservano ancora un rendimento positivo.
In tempi così magri di tutto, anche l’euro ha smesso di scendere sul dollaro. In realtà si è instaurato definitivamente una banda che controlla le oscillazioni tra 1,16 ed 1,06 eur usd. L’augurio è che il cambio non vada oltre 1,16. La permanenza all’interno di questa fascia di prezzi consolida la forza del dollaro e ne predispone le basi per un potenziale nuovo rialzo fra sei mesi circa.
Per quanto riguarda la sterlina vi sono già segnali di ritorno del pound verso un rapporto di rafforzamento contro euro. Tuttavia il punto di osservazione più significativo rimane quello diretto con il dollaro. Il cable (cambio gbp-usd) dopo una prima caduta si è riportato nuovamente a contatto con l’area 1,45/1,47: tale livello costituisce la linea di demarcazione sullo stato di salute della sterlina. Qualora il cambio dovesse recuperare riportandosi oltre 1,47, avremmo un segnale di riabilitazione della moneta inglese anche contro euro.
Tutti questi temi saranno al centro del mio intervento alla tavola rotonda sugli scenari di mercato.
Temi che anticipiamo in linea diretta ai nostri affezionati lettori.
Wlademir Biasia
Partner Foundation of WBA
Professor in Banking and Finance
Dep. of Economics and Statistics Udine University
APPLE 2009 – 2016