Le nostre capacità cognitive spesso non riescono a distinguere la realtà da ciò che è solo un’illusione. L’opposizione tra la vera verità e la falsa verità, tra verità ed apparenza, è una costante di cui dobbiamo sempre bilanciare, con difficile equilibrio, l’arbitrio altrui. La verità molto spesso è altra cosa rispetto a quella che ci appare.
Da Cartesio fino a Nietzsche, la filosofia occidentale riporta le nostre riflessioni sul dualismo che spesso inganna il nostro sapere. Nulla quindi è indubitabile.
Cartesio diceva che “ il dubbio è l’inizio della conoscenza” e “la ragione non è nulla senza l’immaginazione.”
I mercati sono dubbio e immaginazione, non soltanto algoritmi. A meno che nello schema esecutivo di un algoritmo non siamo in grado di specificare e programmare oggetti in autonomia, basati su tecniche di apprendimento tipiche delle funzioni di machine learning.
Il lavoro principale di un banchiere centrale è quello di saper comunicare, declinando correttamente tutte le iperboli possibili dello storytelling, virgole e sospensioni comprese.
Spaginare le loro dichiarazioni è un lavoro che richiede un esercizio di alta professionalità, perché la ragione parte dall’immaginazione.
La ragione e non da oggi, pone sul tavolo una serie di fattori per cui dovremmo temere la crescita alterata dei prezzi: l’inflazione. L’iperliquidità presente nei mercati ed in misura inferiore nel substrato dell’economia reale, ha di per se creato un’inflazione dei multipli; ha esasperato la ricerca di rendimenti su tutti gli attivi tra cui le commodity. Le difficoltà riscontrate durante i blocchi sanitari nella supply chain ha poi funzionato da detonatore per il rialzo delle quotazioni.
La miscellanea degli interventi ha evitato che gli effetti negativi prodotti nel 2020 dalla pandemia e dei conseguenti blocchi sanitari deflagrassero ulteriormente. Non era scontato. Tant’è che le banche centrali pur riconoscendo la forza della ripresa continuano a ribadire la presenza di rischi ancora presenti su più dimensioni.
Il QE globale ha innescato direttamente e non una spirale inflativa che si è riverberata sui prezzi. La crescita dei prezzi alla produzione e quelli al consumo si è materializzata con una forza che per i regolatori risulta temporanea, mentre per i mercati appare più strutturale.
La nostra immaginazione ci induce a pensare che i banchieri centrali stiano animando una discussione con obbiettivi tridimensionali: evitare di allarmare i mercati, preparargli ad un cambiamento di paradigma, impostare una linea di lavoro più convenzionale.
Del resto la materia è riconosciuta come politica monetaria e non scienza monetaria. E la politica diversamente dalla scienza si nutre di pόlis e téchnē.
Pensiamo che le banche centrali stiano progettando modalità per portare equilibrio nel valore degli asset, meno flussi di investimento speculativo verso l’azionario e le commodity, più verso l’obbligazionario perché la fine del QE spingerà al rialzo i tassi tassi d’interesse. Il primo passo consiste nell’effettuare un fade out del Quantitative Easing.
La Bank of England, ad esempio, ha detto che è vicina all’obbiettivo del programma che aveva annunciato (acquisti di bond per 895 miliardi di sterline). A seguire tornerà a promuovere una linea di policy più convenzionale. Altre banche minori, come già anticipato nel nostro blog, hanno dichiarato che non effettueranno ulteriori acquisti in futuro. La Bce ha comunicato che entro il prossimo marzo completerà l’acquisto di titoli collegati alla pandemia per un totale di 1850 miliardi di euro; nel suo Consiglio Direttivo si discute non sul quando ma su come farlo. Nelle nostre convinzioni sarà la Federal Reserve ad avviare ufficialmente il ritiro degli stimoli. La ragione per cui il governatore Powell tende a comunicarlo con prudenza è probabilmente legata al ricordo del 2013 quando l’annuncio, forse prematuro, del ritorno a politiche monetarie convenzionali creò disordine nei mercati: forte rialzo del tasso di cambio del dollaro, fuga di capitali dai mercati emergenti. …
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