Il Pil in Germania segna un tendenziale annuo a -0,4%. Dopo la lettura dei PMI Flash di novembre unita al dato sull’occupazione manifatturiera si rafforzano i segnali di debolezza del ciclo economico globale. Le perdite di posti di lavoro aumentano, mentre la domanda continua a indebolirsi: questo appare il quadro su cui confrontare i ritmi di cresciti in quest’ultimo scorcio del 2023.
Non è una notizia, ma continuiamo a rilevare in termini comparati un livello di maggior debolezza concentrata proprio in Eurozona. La produzione è scesa per il settimo mese consecutivo ovvero ad un ritmo tra i più significativi dalla crisi del 2008 (fatta eccezione per il periodo Covid). La Germania continua a rappresentare l’epicentro delle difficoltà nell’area, benché il PMI Flash di novembre abbia evidenziato un recupero dei valori di fiducia delle imprese. L’andamento del Pil, riportato la scora settimana, conferma su scala annua un dato tendenziale in recessione -0,4%. Nelle ultime dichiarazioni Christine Lagarde ha affermato che la BCE sta considerando l’impatto dell’inasprimento dei tassi, facendo eco ad altri policy maker, indicando che non sarebbero necessari ulteriori strette. Il membro del Consiglio direttivo della BCE Robert Holzmann ha affermato che esiste la stessa probabilità di un aumento o di un taglio dei tassi nel secondo trimestre del 2024, mentre il suo collega François Villeroy de Galhau ha affermato che la banca centrale non aumenterà nuovamente i costi di finanziamento, a meno che non si verifichi un evento inaspettato.
La BCE prevede che l’economia dell’Area Euro crescerà solo dello 0,7% nel 2023, poiché condizioni di finanziamento più restrittive e prezzi elevati gravano sulla domanda interna, mentre la domanda estera rimane contenuta e il settore industriale continua a contrarsi, soprattutto in Germania. Si prevede che la crescita del PIL salirà all’1% nel 2024 e all’1,5% nel 2025 [EUROSTAT].
Negli Stati Uniti la crescita rimane più sostenuta. Dopo un IIIQ decisamente brillante, il 4,9%, con un tendenziale annuo al 2,9%, si attende un ultimo trimestre in rallentamento, ma pur sempre positivo 2,1%. Il PMI manifatturiero scende nuovamente sotto quota 50 a 49,40 mentre sale quello relativo ai servizi a 50,80.
Il commercio mondiale continua a risentire degli effetti della riduzione delle scorte, guidando una riduzione dei volumi che trova comunque in Italia un andamento in controtendenza nel mese di settembre.
Complessivamente l’India continua a rappresentare l’esatto opposto di quanto rilevato nei dati relativi alla crescita con gli Stati Uniti che al momento reggono le tensioni prodotte dal rialzo dei tassi.
Migliora il contesto inflativo in un quadro in cui i policy maker cominciano a dichiarare il raggiungimento del ciclo restrittivo
I mercati stanno scontando quattro tagli da 25 punti base nel prossimo anno, e con una probabilità superiore al 50% si sconta che il primo taglio avverrà già ad aprile, nonostante i verbali della riunione della BCE di ottobre abbiano confermato che non siano da escludere ulteriori aumenti. Dall’ultima riunione de Consiglio BCE i rendimenti dei bond governativi sono ampiamente scesi e ad oggi sono molti gli investment manager che guardano con interesse a questa asset class. Ciò è dovuto al fatto che la componente delle aspettative di inflazione del mercato è scesa notevolmente dai massimi degli ultimi due mesi. Nel complesso, ciò potrebbe ridurre la necessità per i policy maker di intervenire in modo più aggressivo, anche se alcuni sottolineano la fragilità, spesso citata, delle aspettative di inflazione.
Il petrolio continua a governare le attese sull’inflazione
Nel nostro modello di valutazione intermarket, le materie prime ed in particolare il petrolio costituiscono un driver significativo per comprendere gli impatti sull’inflazione.
Lo scorso 9 ottobre, all’indomani della crisi a Gaza, abbiamo scritto nel post “LA CRISI IN MEDIO ORIENTE NON MODIFICA LE TENDENZE” che contrariamente a ciò che si potesse pensare lo shock non avrebbe causato una crisi parallela sul mercato petrolifero. Scrivemmo che nonostante i rischi geopolitici il Brent sarebbe sceso in direzione dei 70 usd barile. L’evoluzione dei prezzi sta confermando la nostra view. L’Opec + ha rinviato la consueta riunione di fine anno di una settimana a causa delle divergenze che si sono delineate all’interno del cartello.
Diversi membri tra cui Angola, Congo e Nigeria non sono soddisfatti dei loro obiettivi di produzione concordati a giugno. Per tale ragione all’epoca si convenne che i loro obiettivi sarebbero stati rivisti entro la fine di quest’anno con una revisione al rialzo. Ciò non è avvenuto. Il target di produzione dell’Angola è stato tagliato da 1,46 milioni di barili/giorno nel 2023 a 1,28 milioni di barili/giorno nel 2024, il target del Congo è stato ridotto da 310 milioni di barili/giorno a 276 milioni di barili/giorno, mentre il target della Nigeria è stato tagliato da 1,74 milioni di barili/giorno a 1,38 milioni di barili/giorno. Mentre Angola e Congo stanno attualmente producendo al di sotto dei loro obiettivi di produzione per il 2024, la Nigeria è riuscita recentemente ad aumentare la produzione e sta pompando circa 1,49 milioni di barili al giorno, al di sopra del suo obiettivo per il prossimo anno. Il disaccordo tra i membri probabilmente aumenterà la volatilità del mercato nel corso della prossima settimana. Non è chiaro come ciò influenzerà la politica più ampia, o se potrebbe avere qualche impatto sull’Arabia Saudita che estenderà il suo ulteriore taglio volontario di 1 milione di barili al giorno all’inizio del 2024. La divergenza sulla linea politica da tenere potrebbe impattare sugli scambi. Tuttavia al momento confermiamo la view in un quadro in cui il rallentamento della crescita potrebbe influire sulla minore domanda complessiva di greggio.