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LA CRISI IN MEDIO ORIENTE NON MODIFICA LE TENDENZE

Abbiamo analizzato gli impatti delle vicende del fine settimana. La crisi in Medio Oriente non modifica al momento le tendenze in atto.

Il vicepresidente della Banca centrale europea (BCE), Luis de Guindos, ha dichiarato questa mattina che il contesto macroeconomico è soggetto a “enorme incertezza”, soprattutto dopo l’ultimo conflitto Israele-Gaza, secondo Reuters. Ascolta il nostro commento

La crisi in Medio Oriente non modifica al momento le tendenze in atto

De Guindos ha affermato di aspettarsi che l’inflazione continui a diminuire nei prossimi mesi, ma ha invitato alla cautela, citando “l’evoluzione dei prezzi del petrolio, il deprezzamento dell’euro e l’evoluzione dei costi unitari del lavoro”.

I dati sull’occupazione USA rilasciati venerdì

I mercati azionari hanno reagito positivamente al dato sull’occupazione Usa dello scorso venerdì. Benché le statistiche abbiano evidenziato un rapporto superiore alle attese, la qualità dei nuovi contratti ha in qualche modo raffreddato l’esito brillante del dato.

Nel mese di settembre i posti di lavoro sono aumentati di 336.000 unità, ovvero in misura superiore ai precedenti 227.000 e ben al di sopra delle aspettative di 170.000. Il tasso di disoccupazione è tuttavia rimasto al 3,8%, nonostante un previsto calo al 3,7%. A settembre i salari sono aumentati nuovamente dello 0,2% su base mensile, al di sotto delle aspettative dello 0,3%, mentre i salari su base annuale sono aumentati del 4,2%, in calo rispetto al 4,3% atteso. Sebbene la disoccupazione sia stata superiore al consenso e i salari siano stati più bassi, è difficile ignorare la consistenza dei NFP come segnalato dai dati ostinatamente bassi sulle richieste di disoccupazione visti a settembre.

Il livello elevato dei tassi preoccupa i mercati

Nonostante la tenuta dell’economia americana i mercati esprimono forti preoccupazioni per la tenuta complessiva del quadro economico globale. L’Europa è praticamente in recessione, i dati PMI che abbiamo visto a settembre non lasciano dubbi sulla traiettoria di rallentamento in corso. La Germania continua a trascinare al ribasso le aree ad essa collegate. Il manifatturiero ha segnato un dato in consolidamento sotto 40 ben lontano da quota 50, dove si colloca il livello spartiacque tra crescita e decrescita. Questa mattina il dato sulla produzione industriale tedesca segna un tendenziale annuo al -1,75%.  L’Italia ha registrato in controtendenza un rimbalzo dai minimi di agosto. In generale tuttavia il comparto manifatturiero segnala un peggioramento delle prestazioni con eccezione degli Stati Uniti che recuperano a settembre quota 49.

A settembre la crescita economica globale è ristagnata con la produzione mondiale  aumentata solo in maniera molto modesta per il secondo mese consecutivo, suggerendo che il ritmo di espansione ha subito un brusco rallentamento rispetto al ritmo ottimista osservato all’inizio dell’anno.

Gli analisti addebitano buona parte degli effetti del rallentamento ai livelli raggiunti dai tassi. Le banche centrali non offrono al momento alcun segnale di allentamento. Tuttavia è nel loro “mestiere” raffreddare gli entusiasmi per ottenere il rallentamento dell’inflazione. Per cui continueranno ancora a ventilare possibili minacce con lo scopo di inibire i facili entusiasmi che emergerebbero da un loro ripensamento o incertezza sulla linea da tenere. Questo atteggiamento potrebbe contribuire ad evitare ulteriore strette sui tassi.

Tassi, inflazione e valori interrelati

I banchieri centrali nelle loro dichiarazioni lasciano sempre aperta la prospettiva che i tassi abbiano raggiunto il loro livello massimo. E’ chiaro che prima di tranquillizzare i mercati vogliano portare a casa i loro obbiettivi. Per raggiungerli è basilare che i costi delle materie prime scendano ulteriormente, in particolare quelli dell’energia.

La scorsa settimana abbiamo assistito ad un ribasso verticale dei prezzi del petrolio. Come avevamo ipotizzato in precedenza le quotazioni del Brent e del greggio in generale, si sono fermate a ridosso dei 95/100 usd/bar. La repentina discesa a 84 usd indica due possibili fattori. In primo luogo la chiusura di posizioni speculative al rialzo impostate sui tagli della produzione. Questo, scatenando robuste liquidazioni, ha spinto i valori verso 84 usd con una velocità straordinaria. Di conseguenza (secondo fattore) è naturale che nelle prossime sessioni vi siano dei rimbalzi verso 89/90 usd prima di rivedere un nuovo ritracciamento al ribasso. Pur essendo prematuro trarre conclusioni definitive,  nell’ipotesi in cui i valori dovesse scendere nuovamente e violare al ribasso gli attuali minimi, potremmo stimare uno swing riflessivo in grado di riportare le negoziazioni ai valori scambiati a fine primavera quando il Brent trattava poco sopra i 70 usd/bar.

Le implicazioni derivanti da un’azione di questa natura sconterebbero implicitamente un rallentamento della domanda dovuto ad un correlato rallentamento ulteriore della crescita.

In tal caso le banche centrali centrerebbero l’obbiettivo atteso con l’inflazione ulteriormente in contrazione.

In attesa della verifica dello scenario esposto, giovedì avremo un nuovo assaggio del suo andamento negli Stati Uniti. Il consensus stima un decremento dal 3,7 al 3,6%.  A settembre il tasso tendenziale è sceso in modo significativo anche in Eurozona.

L’economia globale è sotto stress

Secondo gli ultimi dati PMI  a settembre la crescita economica globale è rimasta in stasi. La produzione mondiale è aumentata solo in maniera molto modesta per il secondo mese consecutivo, suggerendo che la velocità di espansione ha subito un brusco rallentamento rispetto al ritmo ottimista osservato all’inizio dell’anno.

Le cose potrebbero peggiorare prima di migliorare: settembre ha visto un calo dei nuovi afflussi di lavoro nelle aziende del settore manifatturiero e dei servizi per la prima volta da gennaio. Il sentiment rimane orientato negativamente per i prossimi mesi.

I mercati rimarranno volatili

Al nervosismo di fondo si è sovrapposta nel fine settimana la nuova crisi in Medio oriente. Nel nostro podcast mettiamo in evidenza che gli eventi non stanno modificando la traiettoria delle tendenze da noi tracciate negli ultimi rapporti (WB COMMODITY PERSPECTIVESFX OUTLOOK REPORT).

Rimane dominante l’avversione al rischio sui mercati azionari e di conseguenza la ricerca di soluzioni di parcheggio/rifugio.

Il dollaro trae beneficio da questo scenario. Ci aspettiamo un consolidamento della fascia 1.05/1.0650 a brevissimo. Ciò tenderà a dare forza al biglietto verde nel medio periodo secondo le linee tracciate nei nostri rapporti.

La forza del dollaro dovrebbe spingere ulteriormente al ribasso i prezzi delle commodity industriali. Il rame a tre mesi al LME ha recentemente raggiunto il nostro target intermedio a 8000 usd/t. Ci aspettiamo ulteriore debolezza nel medio periodo.

In ogni caso sarà proprio il mercato dell’energia a focalizzare l’attenzione degli operatori. Mentre consideriamo le oscillazioni del gas europeo inserite in quadro di consolidamento da cui dovrebbe emergere un nuovo rallentamento dei corsi, riteniamo più volatile l’evoluzione dei prezzi del greggio.

La crisi in Medio Oriente dovrebbe confermare l’evoluzione dei prezzi sopra indicati, favorendo il ritorno di interessi speculativi di brevissimo comunque propedeutici ad una successiva riduzione dei corsi.

Le attese sui tassi consolidano il segnale di picco

I recenti dati  americani hanno riacceso le discussioni sull’ipotesi che la Fed possa operare un ultimo rialzo dei tassi. Noi riteniamo che il picco sia stato raggiunto. La curva dei Fed Funds quota soltanto il 20% di probabilità che nel meeting di novembre il Fomc possa aumentare ulteriormente i tassi. Le probabilità salgono al 30% per quello di dicembre.  L’importanza dell’andamento del petrolio sta in questi numeri: più si stabilizzeranno al ribasso le contrattazioni sul greggio, minori saranno le probabilità di stima per un nuovo rialzo dei tassi.

Con la Fed più prudente anche la Bce tenderà ad adeguarsi ad un clima meno aggressivo.