Inflazione e tassi d’interesse: le banche centrali si trovano di fronte ad una scelta dilemmatica:
- causare una recessione per ridurre l’inflazione nel breve termine,
oppure- progettare un rallentamento sostanziale per mitigare l’inflazione, ma al riparo da una recessione, accettando un’inflazione più elevata per gli anni a venire.
METTIAMO A FUOCO L’INFLAZIONE
L’inflazione complessiva dell’Eurozona è dell’8,1% su base annua, con il core rate al 3,8%. Rispetto agli Stati Uniti, dove il tasso nominale è pressoché equivalente, 8,3% Y, il core rate è pari al 5,9% Y. Ne deduciamo che l’inflazione europea è molto più non core che core.
Mentre negli States la crescita dei prezzi è stata accompagnata da una crescita dei salari, in Europa la crescita dei prezzi è stata causata quasi esclusivamente dal rialzo delle materie prime.
Le cause dipendono principalmente dagli squilibri che si sono creati nelle catene di fornitura globale e dalla geopolitica. La forte domanda proveniente dall’estero ha contribuito ad innescare acquisti dapprima per ripristinare le scorte dopo la pandemia, poi per coprire i rischi legati proprio ai problemi delle forniture. La guerra in Ucraina ha esacerbato ulteriormente una dinamica già attiva, declinando sul costo dell’energia e di altre forniture industriali ed agricole un ulteriore spinta ai prezzi.
Per ottenere una previsione di inflazione più bassa risulta necessario affrontare con determinazione le dinamiche che hanno prodotto tale risultato, poiché i prezzi delle materie prime sono molto importanti per le prospettive di inflazione dell’area dell’euro.
Tra le macro componenti delle commodity possiamo individuare tre gruppi di beni su cui concentrare l’attenzione per comprendere se le prospettive per un raffreddamento dei prezzi siano plausibili.
ENERGIA
Tra le componenti energetiche spiccano alcuni fattori sostanziali: il gas, l’energia elettrica, il petrolio.
Gli stoccaggi e gli approvvigionamenti di gas dell’Unione risultano fortemente vincolati alle forniture provenienti dalla Russia. Il benchmark che traccia l’andamento dei prezzi è il future sul Natural Gas TTF ,
Title Transfer Facility, rappresenta il mercato all’ingrosso del gas naturale tra i più grandi e liquidi dell’Europa continentale; con sede nei Paesi Bassi, il TTF rappresenta il principale riferimento sui prezzi del gas per l’Europa e l’Italia.
Attraverso questa piattaforma avviene la compravendita del gas tra i più grandi operatori e trader di settore.
Le quotazioni risultavano in tensione già prima della crisi ucraina. Avevamo già subito un vertiginoso aumento dei prezzi a partire dagli inizi del 2021.
L’apprezzamento delle quotazioni rispetto alle medie del periodo 2015-2020 alla chiusura odierna è pari al 700%. Le attuali quotazioni scontano nell’ultimo anno tale rialzo motivo per cui un eventuale regressione dei prezzi trasmetterebbe un forte ristoro alle dinamiche inflattive. La media dei prezzi dell’ultimo anno sta consolidando 100 eur mwh. Nel nostro modello di valutazione il segnale propedeutico all’avvio di un’inversione di tendenza coincide con la violazione al ribasso di quota 80 euro. Ad oggi, nonostante l’interruzione, ancorché parziale, delle forniture non esclude la possibilità che l’evento possa maturare. Tuttavia ai fini di tale percorso sarà fondamentale che i valori non ritornino a scambiare oltre la soglia 125/130 eur mwh.
La discesa dei prezzi del gas sotto 80 eur mwh contribuirebbe a raffreddare notevolmente i prezzi dell’energia elettrica in virtù di uno stretto rapporto di correlazione trai le due commodity. In termini di quotazione il punto spartiacque tra rialzo e ribasso del PUN (Prezzo Unico Nazionale energia elettrica) transita a quota 200/190 eur mwh.
Sul petrolio abbiamo segnalato da tempo la tesi secondo cui pensiamo che i valori siano inseriti in un contesto le cui dinamiche dovrebbero tradursi in un ridimensionamento dei valori. Il Brent dopo aver fissato il recente picco a 125 usd/bar sta scendendo. Per i nostri algoritmi il punto spartiacque tra crescita e decrescita della tendenza dominante transita a quota 100 usd. Ci aspettiamo nelle prossime settimane un collaudo di tale area. Non escludiamo, in assenza di eventi straordinari attualmente non prevedibili, che i prezzi del Brent possano riequilibrare scendendo verso quota 80 usd/bar.
Dato il probabile percorso dei prezzi dell’energia una proiezione più mitigata per l’inflazione complessiva passa attraverso la conferma dei segnali indicati. Diversamente dovremmo ritenere più problematico il rientro dell’inflazione non core. Per quanto riguarda l’inflazione core, la BCE considera ancora un target di riferimento valori parzialmente superiore al 2%. Per spingere l’inflazione al ribasso oltre al contributo della componente energetica, la Bce ed in generale le banche centrali a partire dalla FED, dovranno operare scelte orientate al raffreddamento della domanda. Jerome Powell nella sua ultima conferenza stampa rilasciata a margine del FOMC, ha respinto l’insinuazione che la FED stia provocando deliberatamente una recessione per ottenere i risultati sul contenimento dell’inflazione.
Osservando tuttavia lo sviluppo del pil, mappato dal modello GDPNOW, si evince una crescita zero nel secondo trimestre di quest’anno.
Le nostre attese sulla crescita tendono a mettere a fuoco una fase di rallentamento dell’economia. Lo vediamo attraverso la robusta perdita di momentum delle commodity industriali. Il rame sta scendendo al di sotto dei minimi fissati durante la fase di transizione del ciclo rialzista apr 2020- apr 2022.
Ci aspettiamo un robusto ritracciamento dei prezzi. Probabilmente scenderemo sino ai livelli di picco del 2018.
Rame, alluminio, acciaio, stanno ritracciando il rialzo della fase 2020-2022. Indubbiamente concorre a tale movimento tutta una serie di problematiche. Ma gli users, i grandi player, segnalano un rallentamento degli ordinativi (vedi nostro report WB COMMODITY PERSPECTIVES), ed un rallentamento generale del comparto.
Questi segnali uniti ad un auspicabile ribasso del petrolio (almeno), oltre a favorire il raffreddamento dei prezzi, ci dicono che il rallentamento della crescita globale è in itinere.
Indubbiamente le banche centrali stanno agendo in modo deciso per non perdere il controllo sull’inflazione, qualora ciò non fosse già avvenuto, attivando tute le leve di policy monetaria, tassi e circolazione monetaria. La Fed ha la possibilità di farlo con minori vincoli rispetto alla BCE. Quest’ultima deve agire contenendo gli effetti sugli spread sovrani per evitare nuovi rischi di frammentazione dell’Eurozona. Diversamente, il lavoro fatto dal whatever it takes in avanti si dissolverebbe.