Geopolitica: nelle ultime settimane di settembre i mercati stavano consolidando l’idea che il ciclo inflattivo fosse avviato verso un declino più convinto. Proprio nel momento in cui stavano prendendo forma alcuni segnali che preludevano ad una svolta della linea di policy delle banche centrali in termini meno restrittivi, in Medio oriente si è aperto un nuova crisi geopolitica.
Al momento gli operatori stanno cercando di comprendere quanto il conflitto regionale tra Israele e Hamas rischi di coinvolgere altri paesi dell’area e la minaccia di contaminare la sicurezza delle rotte fisiche del petrolio.
Nell’attesa i prezzi sono risaliti velocemente a 90 usd il barile.
L’Iran controlla lo stretto di Hormuz, il Qatar rappresenta uno dei maggiori produttori di gas e si propone come soggetto diplomatico per le trattive politiche nel complesso snodo mediorientale.
Le quotazioni del petrolio e di tutto il comparto dell’energia, costituisce tuttora la leva in grado di riportare l’inflazione nuovamente in tensione, piuttosto che consentire la prosecuzione del raffreddamento in corso.
Il petrolio al centro delle tensioni
Di conseguenza in rapporto all’andamento del prezzo del greggio tendono a muoversi i tassi, i metalli, ed in generale tutte le commodity per effetto dell’aumento dei costi di trasporto e di trasformazione. I tassi di cambio si relazionano a tali movimenti sulla base delle inter-correlazioni che regolano il loro andamento. Anche i mercati azionari tendono a riflettere e correlarsi a tali dinamiche.
Motivo per cui in questa fase il petrolio assume un ruolo ancor più significativo in quanto variabile diretta delle vicende geopolitiche con epicentro il Medio Oriente. Il Brent, che rappresenta il benchmark di riferimento per le valutazioni di trend, ritorna a quotare nella parte alta del range che delimita una condizione di confine tra una fase di tensione da ritenersi temporanea, rispetto ad una fase a più elevata intensità di rischio per il quadro economico.
Nel nostro modello la linea di spartiacque transita proprio poco sopra i 90 usd/barile. Riteniamo che un primo segnale utile per catturare indicazioni favorevoli ad una graduale distensione coincida con ritorni delle negoziazioni sotto 87/84 usd/bar.
Al momento i dati relativi all’inflazione per il mese di settembre, nonostante un picco dei prezzi del greggio poco sotto i 100 usd, hanno continuato a porre l’enfasi sul rallentamento del quadro complessivo. Le banche centrali non hanno drammatizzato il contesto. Le probabilità che la Fed possa aumentare ancora i tassi nella riunione di novembre si sono azzerate, erano al 30% nelle precedenti settimane. Il quadro economico tende a perdere ulteriore tenore.
Dal Medio Oriente al Centro dell’Europa: dalla geopolitica all’economia
Nella giornata di martedì avremo un aggiornamento del sentiment in Germania con la pubblicazione dell’indice Zew.
L’Economic Sentiment elaborato dall’istituto tedesco Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung (ZEW) elabora il livello di fiducia degli investitori istituzionali tedeschi. Si tratta di un indicatore chiave delle condizioni economiche nell’area. Il dato esprime la sintesi di una survey mensile condotta presso 350 investitori istituzionali e analisti tedeschi. Fatta eccezione per i primi quattro mesi dell’anno, l’indice ZEW quota con una tendenza negativa dal mese di marzo del 2022.
Tutti gli indicatori di fiducia centrati sulla Germania esprimono da diversi mesi uno status di crisi che impensierisce chiunque ne osservi l’andamento. Recentemente anche la BCE ne ha preso atto. Le imprese italiane osservano attentamente tali dinamiche, consapevoli dell’elevato grado di interrelazione che l’economia domestica intrattiene con quella tedesca.
Di conseguenza gli operatori attendono segnali dalle banche centrali per mitigare le condizioni di riferimento. Per tale ragione il petrolio, ed aggiungiamo anche le quotazione del Natural Gas TTF, sono monitorati attentamente. Discese sotto 84 usd per il Brent, 40 eur mwh per il TTF favoriranno, secondo le nostre stime, un ridimensionamento delle tensioni propedeutico al ritorno ad un atteggiamento più accomodante delle banche centrali.
Il mercato FX non ha subito al momento la trasmissione geopolitica
Le negoziazioni sui tassi di cambio sono risultate sinora impermeabili alla crisi su Gaza. Tuttavia una più elevata percezione dell’avversione al rischio ha premiato il dollaro. Probabilmente alla base di questa evidenza contribuiscono gli effetti del differenziale tassi che soprattutto nel rapporto con l’euro quota a premio.
L’eur usd, come atteso ha collaudato l’area 1.0650 consolidando il range 1.05-1.0650. Come già indicato la scorsa settimana tale registro conferma le nostre previsioni per una linea di tendenza che continuerà a favorire il dollaro (richiedi il nostro FX Outlook).