EURO: TENSIONI SUL MERCATO DEI CAMBI
Siamo ai vertici del grande range che ha dominato l’andamento del cambio negli ultimi due anni. La progressione dei prezzi appare in distonia con i fondamentali, e la domanda centrale si fa sempre più insistente: Quanto vale un euro sul dollaro?
Nell’Eurozona i segni di ripresa ci sono, ma è ancora una ripresa debole, particolarmente debole in paesi come l’Italia. Questo mette in luce la fondamentale debolezza istituzionale della costruzione della moneta unica che non viene meno solo perché la congiuntura va un po’ meglio.
Anzi, il rafforzamento dell’euro sulle principali monete rischia di acuire squilibri. La crescita che l’aggiornamento al ‘World Economic Outlook‘ diffuso dal Fondo Monetario Internazionale offre sul quadro previsivo, offre maggior ottimismo per la zona euro.
Nell’orizzonte 2017/2018 l’attesa è pari rispettivamente a 1,9% e 1,7% , due decimi e un decimo superiore a quella ipotizzata dal Fondo stesso in aprile. La stima per la crescita dell’economia italiana resta stabile a 1,3% per il 2018, livello indicato a metà giugno con quella sul 2018 indicata a 1% in linea al tasso “intorno a 1%” prospettato sempre ad aprile per il triennio 2018/2020. Invariate rispettivamente a 3,5% su quest’anno e 3,6% sul prossimo le attese sulla crescita globale, con rischi “sostanzialmente bilanciati”. Ritoccate al rialzo le aspettative sulla crescita Usa, mentre quella sul Giappone è corretta al rialzo di un decimo su quest’anno e confermata sul prossimo. A monte della revisione migliorativa delle attese su Italia, Spagna, Germania e Francia il Fondo cita la performance positiva dei primi mesi del 2017 e di fine 2016.
E’ bene ricordare che quel risultato è stato raggiunto in un ambiente caratterizzato da un super dollaro. All’epoca il tasso di cambio eur usd oscillava nella parte bassa del range degli ultimi 30 mesi, 1,05.
E’ chiaro quindi, se ce ne fosse bisogno, che l’analisi sulla crescita dell’Eurozona ha come driver l’export, il quale fa leva in particolar modo sulla competitività.
Lo scorso giovedì il Governatore Mario Draghi ha cercato di convincere il mercato, sostenendo tra le righe, che le ragioni per cui l’euro si era indebolito (politica monetaria ultra accomodante) rimangano ancora attive, nonostante la ripresa più persuasiva della crescita, a causa di un tasso d’inflazione che rimane ampiamente al di sotto dei target attesi.
In altri termini abbiamo avuto l’impressione netta che il Governatore abbia cercato di aggiustare l’orientamento rispetto al discorso di Sintra. La sensazione forte sul timore che una parola sbagliata potesse rafforzare l’euro era più che palpabile. E che l’euro sul dollaro fosse al centro dei pensieri del Board lo dimostra il fatto che alla domanda di un giornalista accreditato alla conferenza stampa, se la BCE fosse preoccupata per il rafforzamento del cambio dopo Sintra, Draghi diversamente dal «protocollo» ha ammesso che la BCE sta osservando le dinamiche del mercato. Boom.
A ciò si aggiunga che contrariamente al recente passato, la Bundesbank non ha opposto, come in passato, alcuna polemica alle affermazioni del Governatore.
Insomma l’euro troppo forte costituisce più che un problema, una minaccia per la crescita e per l’apprezzamento dell’inflazione, quindi il rischio concreto che uno degli obbiettivi primari del QE possa risultare meno efficace delle attese.
Ciò nonostante i corsi si sono apprezzati evitando di correggere sotto l’area 1,1480, la cui violazione avrebbe potuto riportare gli scambi nuovamente all’interno del grande range. Evidentemente ci sono forze che travalicano la narrativa europea.
Il tasso di cambio è l’espressione empirica diretta del rapporto di forza tra due monete. Quindi rappresenta la lettura sintetica tra due orizzonti, i cui poli di maggior influenza sono oggi l’euro ed il dollaro.
In Europa la crescita migliora, l’occupazione si manifesta a macchia di leopardo, i prezzi ristagnano; in America la crescita rallenta, l’occupazione è ai massimi, i prezzi tendono a crescere in misura moderata. La BCE rimane ancora allineata ad una politica monetaria accomodante, la Fed ad una parzialmente restrittiva.
Su queste diversità si sovrappone la componente politica. Nell’UEM, dopo le elezioni francesi, si legge maggior stabilità. Negli USA, l’elezione di Donald Trump continua a lasciare aperti flessi sul sistema che, almeno in apparenza, indeboliscono l’immagine del Presidente.
Su quest’ultimo frame fa leva la debolezza del dollaro.
Tuttavia guardando qualche mossa oltre, aumenta sensibilmente il rischio che gli equilibri tornino a cambiare. L’euro forte, ovvero oltre 1,1450 contro dollaro, logora la crescita fatta di esportazioni, rallenta proporzionalmente la crescita dei prezzi, anche perché nel contempo l’ambiente fiscale rimane restrittivo. I consumi all’interno dell’Unione crescono ancora sotto la media trasferendo all’export il driver dell’espansione. Inoltre il rafforzamento dell’euro esaspera ancora di più lo squilibrio all’interno del perimetro dell’Unione Monetaria. In assenza di una crescita bilanciata all’interno dell’area, queste pulsioni rimangono sempre presenti in forma più o meno evidente.
Su queste basi si incastrano le valutazioni tecniche relative al break-up di area 1,1450/1,1500.
Le forze che oggi condizionano il rialzo dell’euro, puntano probabilmente a spingere i corsi verso 1,18 per completare l’azione nel range 1,22/1,25.
Difficilmente in queste condizioni la BCE potrà smantellare il QE avviando il Tapering. Anche perché un’altra area economicamente significativa indebolirà il proprio cambio: la Cina. Lo yuan renminbi ha un rapporto di fluttuazione controllato sul dollaro, per cui l’indebolimento di quest’ultimo trascina, salvo drastiche rivalutazioni che al momento rimangono contenute, la moneta cinese. Essendo la Cina un esportatore netto si aggiungerebbero sul piatto ulteriore pressioni deflattive. Nel nostro scenario il rapporto eur cny passerebbe da un valore di equilibrio tra 7,30/7,40 ad un possibile picco a 8,30 con una svalutazione verso l’euro superiore al 10%; oltre se si considerano i valori del 2016.
Nei prossimi giorni il mercato dovrebbe aprire una verifica sull’orientamento di fondo. Le condizioni di ipercomprato statistico che si sono determinate, dovrebbero aprire una breve fase di riflessione. Tra trenta giorni riprendono gli incontri ed i meeting delle banche centrali a cominciare da Jackson Hole. Al Symposium organizzato dalla Fed parleranno Mario Draghi, altre volte non presente, e Janet Yellen. I nutile sottolineare che i loro interventi saranno molto attesi. Si cercheranno altre conferme. Tuttavia appare chiaro che i due governatori ribadiranno la loro narrativa. Sono messaggi che contrastano con le attuali forze di mercato. Sullo sfondo oltre il Russiagate il Presidente Trump sta preparando la riforma fiscale.
Una cosa è certa: la volatilità non mancherà.
Eventuali segnali correttivi possono emergere soltanto nel caso in cui i valori scendano al di sotto di area 1,1480/50. Dobbiamo capire se l’ipercomprato di euro possa spingere i prezzi sotto tale barriera. Le implicazioni imporrebbero una rilettura del quadro tecnico. Comunque sia, potenziali segnali di reversal dell’attuale bias vanno considerati soltanto nel caso in cui si scenda oltre 1,1320 eur usd.
Le borse hanno letto negativamente il dato sul mercato delle currency. A conferma delle preoccupazioni ventilate, gli indici europei sono ritornati a perdere momentum. L’Eurostoxx 50 sta aggredendo nuovamente i minimi già segnati a giugno ed agli inizi del mese. La violazione di 3420 azionerebbe un trigger correttivo in direzione di 3300 & 3200 dove transita la proiezione dei massimi segnati nel 2000 e nel 2007 che il mercato ha cercato di oltrepassare a vuoto nel 2015. Quest’anno con il contributo di una visione più positiva della crescita espansiva era riuscito nuovamente ad oltrepassare la line nel mese di febbraio. Di conseguenza l’eventuale verifica attivata dalla violazione di 3420 risulta empiricamente significativa. In termini di stima del rischio, la mancata tenuta potrebbe spingere il mercato a cercare nuovi sostegni in area 3000/2900. Il Dax invece ha risentito più di quanto si potesse temere lo stravolgimento degli equilibri. I corsi stanno dirigendo verso area 12000/11900 dove transita, sotto il profilo tecnico, la proiezione dei minimi crescenti che dal 2016 hanno accompagnato la tendenza rialzista esauritasi lo scorso giugno.
Anche il FTSE MIB non è riuscito a capitalizzare a pieno la risoluzione del pacchetto di misure a favore delle banche. Area 21500 ha così respinto il tentativo di break-up e probabilmente, in un quadro di ulteriore rafforzamento dell’euro, tenderà a spingere i prezzi verso la base del range che ne ha dominato la costruzione recente in area 20500. La violazione aprirebbe infatti la strada per una flessione verso il sostegno primario segnalato nell’Outlook mensile WB>Perspectives © a 19500.
Negli Stati Uniti invece la domanda ha sostenuto gli indici. L’S&P 500 sta avvicinando l’area target 2500 facendo leva su 2453, nuovo punto di alert sul quadro tecnico di breve termine. Di pari passo si sono mossi gli indici tecnologici, il Nasdaq Composite ed il Biotech. Il Composite ha raggiunto un nostro target segnalato a 6250 nel rapporto mensile e si appresta a versificare quota 6500 dove suggeriamo di prendere nuovamente beneficio. L’indice Biotech ha violato al rialzo quota 3350: l’accelerazione del movimento rimane orientata a verificare i nostri obbiettivi in area 3550 & 3630. Al momento non rileviamo particolari tensioni salvo modeste perdite di momentum infraday. Il Vix (la volatilità del mercato azionario al NYSE) rimane straordinariamente debole, certamente troppo per le condizioni generali.
La volubilità del dollaro infine a dato ulteriore forza agli emergenti. Il MSCI Bric ha testato il nostro target intermedio a quota 600 come pure il MSCI China a quota 74. Ci attendiamo al di là di moderati consolidamenti ulteriori spunti positivi con forza relativa a favore del mercato azionario cinese ed indiano.
Il messaggio del Governatore della BCE è stato comunque recepito nei termini desiderati dal mercato obbligazionario governativo europeo. Lo spread sul decennale ITA GER, è sceso verso area 155; sotto tale livello il valore tenderà a scendere in direzione di 130, una quota impensabile sino a non molto tempo fa se si considerano i problemi mai risolti in Italia. Per il momento scende anche il 10 anni Germania . Assisteremo presto ad una verifica di 0,50. Qualora il mercato ritenesse appropriata una discesa oltre il livello considerato, si imporrebbero profonde riflessioni sulle attese rispetto a ciò che Mario Draghi potrebbe dire a Jackson Hole. Come avevamo già ventilato nel rapporto mensile, non è del tutto da escludere un ripensamento del rialzo dei rendimenti nel tratto lungo della curva ed un suo ridimensionamento verso area 0,25! Nel report sosteniamo in effetti che il ritorno a 0,50 rappresenta un test significativo.
Nel contempo le commodity si sono mosse mettendo in luce nuovi possibili segnali: Il CRB trainato dai metalli non ferrosi, il rame, nonché da altre materie prime sta consolidando un segnale di reversal il cui completamento coincide con la violazione di area 185/87. Nel comparto è sempre l’oil a tenere alta l’attenzione. Le quotazioni del Brent hanno rivisto
area 50 usd/bar. Da qui si sono scattate le prese di beneficio. Tuttavia la tenuta di 48 usd può riportare i prezzi a testare nuovamente area 49,70/50 usd. La violazione tuttora possibile apre la strada per un primo target a 51,50 e successivamente 55 usd/bar. Ritorna invece a rafforzarsi l’oro. 1260 usd/oz rimane a nostro avviso un punto focale oltre il quale il rialzo recente ed i tentativi precedenti, potrebbero trovare maggior convinzione.
Sulla base del teorema che abbiamo tracciato l’operatività richiede una strategia di piccoli passi con al baricentro l’evoluzione del cambio eur usd. Se non rientrerà sotto 1,1480/50 entro le prossime sessioni, bisognerà rinviare a l futuro l’idea di un recupero del dollaro. Di conseguenza si innescano i processi difensivi su borse e bond.