Sono trascorse pochi giorni dal voto inglese e ciò che appare drammatico è che nessun policy maker, nessun centro di ricerca governativo abbia in qualche modo previsto uno worst case scenario. Le uniche che sono intervenute a tentare di spegnere l’incendio sono state ancora una volta le banche centrali con il loro servizio di pronto intervento ormai stabilmente operativo.
E’ la conferma che in alto non ci sono leadership in grado di prevedere ed anticipare spinte popolari che, come insegna la storia, tendono a deflagrare se troppo inibite nel loro grido di disperazione. E la disperazione si è tradotta in questi anni di statistiche della crisi in deflazione sociale. Peggio, è la conferma che i governanti sono privi di visione strategica.
Queste rotture spazzano via con se, per reazione, il meglio dei valori costruiti: mentre si vedono chiaramente i nuovi segnali di crisi, si fatica ad intuire quali possano essere le macerie relative.
La reazione dei mercati al primo impatto con l’esito del voto è stata drammatica proprio perché per opportunismo politico si è preferito lasciar credere che alla fine avrebbe vinto il remain. L’esito contrario, non scontato dalle più parti, ha obbligato gli investitori e riallinearsi al nuovo scenario.
Rispetto a quanto abbiamo sostenuto negli ultimi mesi non cambia nulla sui mercati azionari. Il timore, invece, di una deflagrazione dello spread sui debiti sovrani, ci porta a considerare il rischio di un avvitamento delle dinamiche operative. Gli investitori si stanno focalizzando su come la BCE saprà dominare prima, e governare poi le reazioni degli investitori rispetto al comportamento dei rendimenti sui bond governativi dei paesi periferici.
La trasmissione di Brexit verso i mercati parte proprio da qui, dallo spread. Infatti se osservate le reazioni a caldo, a conferma dell’opportunismo politico, le borse maggiormente penalizzate dal voto sono state quelle di Italia e Spagna, Francia a seguire, non quella di Londra (Ftse MIB – 12,48% – LSE Ftse 100 – 3,15%); eppure le due trading venues fanno parte dello stesso gruppo: il London Stock Exchange!
Domani alle 10.30 in diretta a RADIO 24, Wlademir Biasia sarà ospite di CUORE & DENARI per commentare le reazioni dei mercati, le prospettive e gli impatti sull’andamento futuro delle monete: sterlina, euro e dollaro.
Come abbiamo scritto nelle settimane precedenti, mettendo in forte dubbio il rialzo che aveva preceduto il referendum inglese, l’Italia ha dentro la propria pancia una neoplasia non ancora risolta: le banche, i NPL e la loro difficoltà di fare utili. Pensate che qualcuna per farlo si è perfino spinta a vendere oggetti che nulla hanno a che fare con credito, risparmio e Wealth Management.
Il rialzo dello spread sul decennale tra Germania ed Italia ha e tenderà ad acuire maggiormente le tensioni nei confronti delle banche e di conseguenza del nostro mercato azionario. In questa nuova crisi l’Italia si svela come l’anello più critico dei riflessi che inevitabilmente sono innescati da questa vicenda. Da questo punto di vista il nostro Paese ha tutta l’attenzione che merita anche sotto il profilo politico internazionale.
Lo spread quindi ritorna ad assumere un ruolo fondamentale. Più volte abbiamo posto l’accento nell’ultimo anno alla barriera dei 150 punti base. Venerdì tale muro è stato travolto dai primi vagiti all’apertura dei mercati; gli interventi della BCE ne hanno successivamente raffreddato lo spirito facendolo rientrare nei ranghi. Ma la barriera rimane lì a segnalarci il punto di guardia.
Il FTSE MIB con il ribasso di venerdì assorbe completamente il recupero costruito dopo i minimi di febbraio, riportando la perdita da inizio anno a -26,59% (-33% YoY). L’indice, con la violazione dei minimi 15750, corre il serio rischio di scivolare verso 13800, 12700 prima e 11000/10500 in un secondo tempo. Non saremo i soli a patire le vendite: l’Italia benchè sia uno degli anelli deboli, rimarrà inserita in un contesto regressivo correlato con tutte le borse occidentali.
settimana, la Fed abbandonerà del tutto l’ipotesi di un rialzo dei tassi sino alla fine del 2017 e probabilmente prima metà del 2018.
Questa possibile impostazione della politica monetaria americana continuerà a favorire tra l’altro un ritorno dei flussi verso i bond emergenti che potrebbero rivelare sorprese positive nel prossimo futuro.
Anche l’oro daopo aver violato area 1300 tenderà a sviluppare un rally verso 1500/1550 usd/oz.
Tracciate queste linee di rischio, il focus torna ai vertici che si intervalleranno a Bruxelles (speriamo non a Berlino!, la capitale europea è a Bruxelles e non in Germania!). Guarderemo alle soluzioni per capire se, rispetto allo scenario delineato, possano intervenire cambiamenti radicali in grado di farci rimettere in discussione le nostre valutazioni.
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