Nonostante i proclami, le conferenze stampa, i sondaggi e quant’altro, superiamo il primo quadrimestre del 2016 con un bilancio piuttosto negativo sul fronte dei mercati azionari. Il recupero di aprile, pur apprezzabile, non ha saputo riportare in positivo il saldo da inizio anno. Eppure le banche centrali hanno fatto sforzi significativi per dare sostegno ai mercati; i rendimenti sui bond governativi sono stati repressi sino a fissare valori negativi su gran parte della curva europea. Nonostante la ripresa dei prezzi al consumo negli Stati Uniti, il dieci anni quota al di sotto del 2% per non parlare degli emittenti sovrani di minore rilevanza. Tuttavia qualcosa si è mosso nonostante una marea di articoli che davano uno strumento in particolare privo di ogni possibilità reattiva. Ed invece…
l’unica asset class ad avere maturato una performance attraente, oltre a quella dei bond governativi è quella relativa alle commodity, in particolare il petrolio sulle cui quotazioni molte investment bank fissavano obbiettivi a 20 e meno usd/barile.
Il mercato delle materie prime ha sensibilmente reagito alle condizioni di regressività cronica, cercando di raggiungere un migliore equilibrio.
Per la verità il migliore risultato in tal senso è stato catturato come detto innanzitutto dal petrolio e dall’oro, il primo dei quali è passato dai 27 usd/bar aggli attuali 45 usd. Due strumenti che hanno connotazioni «politiche» e che rispondono a logiche che trovano maggior riflesso nelle pieghe della geopolitica il primo, nelle turbolenze monetarie il secondo.
Il grafico relativo all’andamento dei principali mercati azionari del mondo, è piuttosto eloquente nell’evidenziare la performance negativa maturata dai massimi dello scorso anno, addirittura da quando è stato lanciato la prima versione del QE a marzo 2015 dalla BCE. Nell’ultimo anno la Cina si qualifica con la peggiore performance, -35%, l’Italia assieme al Giappone sfiorano perdite nell’ordine del 20%, l’Europa del 16/17%, la Germania del 12%, gli USA del 2%.
Nel contempo l’euro sul dollaro guadagna negli ultimi dodici mesi il 3%, da inizio anno il 5%.
Sono tutti segnali che annullano i benefici dell’allentamento monetario programmato da BCE e BoJ, mettendo in luce la fragilità dei mercati la cui price discovery risulta fortemente inquinata dai ricorrenti interventi delle banche centrali.
In questo clima emerge da parte degli investitori finali, la necessità di trovare allocazioni sicure prive di rischio. In Italia tale esigenza è ancor più motivata dalla sindrome del Bail In. Pur di evitare qualsiasi rischio si è disposti ad accettare rendimenti via via sempre più schiacciati sullo zero. Sono i tempi dell’incertezza che determinano simili deviazioni. Il problema è che si baratta la certezza del presente comprando i rischi di domani. Investire in titoli con rendimenti negativi o quasi equivale ad acquistare rischi futuri. Rischi che si manifesteranno nel momento in cui riprenderanno i mercati ritornando a prezzare una forma embrionale di inflazione sulla curva dei rendimenti. A quel punto la detonazione sarà così repentina che i più, per non consolidare le perdite, accetteranno di tenere i bond sottoscritti oggi sino alla loro normale scadenza, congelando i portafogli, soprattutto sottraendoli alle opportunità che emergeranno.
Le opportunità a cui penso sono in fase di maturazione. Sono pressoché riconducibili al mercato azionario. E’ probabile che la fase riflessiva a cui abbiamo assistito negli ultimi dodici mesi non sia terminata, motivo per cui pensiamo che in futuro si presenteranno condizioni più favorevoli per ritornare ad investire sull’equity, condizioni che stanno lentamente maturando.
Oggi osserviamo la price action dei mercati azionari rilevando una nuova perdita di momentum nelle aree più critiche, l’Italia tra le economie avanzate, ed una tenuta di quelle più resilienti come il NYSE.
Il FTSE MIB dopo aver avvicinato area 19.000 , ha subito un significativo reversal che potrebbe respingerlo verso 18.000/17.500, mentre i minimi di aprile, fissati ad 16.500, costituiranno il punto sotto il quale quanti hanno operato acquisti nelle ultime settimane attiveranno le linee di difesa finali.
L’Eurostoxx 50 ha già riavviato il processo riflessivo a seguito del fallito tentativo di break-up oltre la soglia
3.100. Nell’area 2.970/60 sono presumibilmente allocati i livelli di protezione delle posizioni rialziste recentemente riaperte. La rottura di tali livelli rischia di compromettere la costruzione reattiva che il mercato aveva eretto nell’idea che il trend dominante potesse invertire rispetto al segno negativo consolidato nell’ultimo anno. In Europa, la volatilità ha già ripreso a prezzare un ritorno di incertezza non ancora percepito dalle mani deboli. L’indice Volax ha violato quota 20 e sopra 22 rischia di accelerare nuovamente riportando il Dax sotto 10.000 in prima battuta per verificare 9600/500 in una fase immediatamente successiva.
I valori minimi messi in evidenza rappresenteranno per i più il punto limite su cui veicolare le deleghe sulla tenuta in extremis del recente recupero dei mercati.
E’ probabile che i prezzi rimarranno all’interno di queste fasce di riequilibrio nell’attesa che lo Standard & Poor 500 esprima una nuova direzionalità rispetto alla battuta d’arresto segnata nell’ultima settimana. In altri termini qualora l’indice dovesse violare area 2055-40 al ribasso, segnalerebbe parimenti agli indici europei una perdita di momentum, riattivando una corrente di vendite contagiando tutti i mercati.
In ordine a questo scenario dovremo valutare la reazione della banche centrali per comprendere la loro replica rispetto ad uno scenario che ritornerebbe a quel punto ad appesantire il clima.
In questo quadro i bond ritrovano la loro missione protettiva in un ruolo di parcheggio temporaneo, nell’attesa che l’eventuale declino dei corsi azionari maturi le opportunità a cui facevamo riferimento nella prima parte del report. Non rinneghiamo comunque la nostra convinzione sul fatto che il ruolo dei bond ha valenza tattica e come sostenuto temporanea. Probabilmente quelli che hanno più valore da spendere in questa fase sono quelli americani il cui rendimento a dieci anni quota 1,85%.
Come scritto nel rapporto mensile di aprile, continuiamo ad attenderci una regressione verso area 1,65%, livello sotto il quale il mercato tenderebbe a spingere i rendimenti verso i minimi già raggiunti nel 2012, 1,40% e probabilmente anche 1,25%.
Sul comparto dovremmo comprendere quali possano essere le migliori allocazioni in un simile scenario. I bonds emergenti e quelli globali hanno corso molto nelle ultime settimane, per cui potrebbero soffrire in termini di forza relativa rispetto ai Treasury americani.
Sul fronte delle valute dobbiamo fare riferimento ai presumibili accordi tra banche centrali, imposti dalla Federal Reserve, per frenare la forza del dollaro. L’eur usd nonostante il lancio in grande stile della seconda manovra QE operata dalla BCE, non ha sortito gli effetti attesi. Il rialzo dell’euro non si spiega diversamente. Al momento i fondamentali americani risultano in termini relativi migliori rispetto a quelli europei; i rendimenti sono notevolmente a favore dei primi sui secondi, 1,85% contro 0,20% (10 anni US vs DE). Continuiamo quindi a pensare che le oscillazioni siano ancora governate da un ampio range la cui banda di oscillazione risulta delimitata nella parte superiore da 1,16 ed in quella inferiore da 1,06. I valori di equilibrio transitano tra 1,11/1,10 (vedi grafico). Tecnicamente riteniamo che un rialzo oltre i massimi disegnati nell’estate dello scorso anno, rischi di alimentare un apprezzamento eccessivo dell’euro, compromettendo in primis gli obbiettivi del QE, in secondo luogo lederebbe l’unica leva di crescita in Europa, l’export, soprattutto in una fase in cui si registra il rallentamento dei partners commerciali a partire dagli Stati Uniti. Il passaggio nella parte alta della banda rilevata consentirà di verificare quali siano i limiti su cui si sono accordati i regulators.
Da quota 1,15 i primi segnali di un eventuale sgonfiamento dei corsi potranno essere colti al ritorno dei prezzi sotto area 1,1350/30.
Attorno al rapporto delle monete gioca anche quello delle commodity: nei mesi precedenti ci siamo occupati di petrolio sostenendo il segnale di reversal. Il WTI ha raggiunto la nostra prima area target stimata tra 44/45 usd/bar. Nel rapporto di marzo ed aprile abbiamo fissato in seconda battuta un successivo obbiettivo a 50/52 usd verificabile dopo una pausa di consolidamento dei prezzi sopra area 41 usd. Ritenendo che vi sia un rapporto di correlazione inversa tra dollaro e greggio, pensiamo che l’eventuale correzione del WTI possa favorire un parziale allentamento del cambio.