Brexit. Un evento capace di catalizzare l’attenzione mediatica da porre in secondo piano le difficoltà vere di un sistema in cerca di nuovi equilibri da cui ripartire. Sotto la bandiera dell’irresolutezza britannica si nascondono molte cose, un po’ come quando per fretta e convenienza si nasconde la polvere sotto i tappeti. La discesa dei mercati azionari è stata declinata alla voce Brexit, ma in realtà cela più situazioni in disequilibrio, che non godono più della fiducia degli investitori. In un ambiente fortemente educato al bon ton verso banche centrali, governi alla ricerca di far passare tutto all’insegna del corretto, alla fine prevale la ricerca del valore. Money is money! E’ opinione comune che il denaro sia la radice di tutti i mali odierni, ma nessuno è mai davvero disposto a privarsene, figuriamoci quando spirano i venti dell’avversione verso il rischio. Anche Wall Street do
po un lungo consolidamento con i massimi ha ceduto terreno, andando a verificare i primi livelli di sostegno in area 2070 di S&P 500. Gli investitori focalizzeranno l’attenzione proprio sul range compreso tra 2070 e 2030 per veicolare le loro azioni operative; ma al di là degli aspetti tecnici, si respira un’aria preoccupata, incredula rispetto alle valutazioni correnti. Anche per Wall Street potrebbero riaprirsi improvvisi vuoti d’aria.
Per la Fed, impegnata a regolare i precetti del Fomc di giugno, il ritorno di debolezza nei mercati consente di reiterare ancora l’opzione restrittiva sui tassi. La retorica sostenuta negli ultimi mesi esprime in modo eloquente la scarsa volontà a modificare l’assetto monetario. I Treasury Bond si stanno comportando infatti come se all’orizzonte vi fossero le prime avvisaglie di un rallentamento non tanto sul lato della crescita, bensì una conversione al fly to quality che tenderà a spingere i rendimenti sul 10 anni US verso 1.30 se non a fissare con qualche indugio muovi minimi storici inediti.
Per l’Europa, al netto dei proclami conformisti di molti asset manager, il segnale dell’avversione al rischio è suonato da molto tempo, esattamente da quando lo scorso dicembre quest’ultimi erano tutti allineati ad esprimere giudizi più che positivi su Italia ed Europa. Dall’estate dello scorso anno abbiamo cercato di mettere in evidenza proprio in questo blog, ciò che alla tavola rotonda dell’IT Forum dedicata alle tendenze che governano i mercati, abbiamo ribadito: i mercati sono alla ricerca di un nuovo equilibrio da cui ripartire. Questo equilibrio passa necessariamente per una fase emotivamente difficile, dove alla fine il panico prevarrà sulla realtà. Il ribasso dell’Italia, che fa leva sul comparto bancario, è lì a dimostrarlo come se non ci fosse più un domani.
Così è successo per il petrolio: a febbraio sembrava che non ci fosse limite al ribasso, anche per i più informati, ed invece il rialzo conseguente ai minimi fisati sopra quota 25 usd ha testato i 52 usd/bar. Nelle prossime settimane assisteremo ad una nuova flessione del greggio con ritorni dei prezzi verso l’area dei 40/35 usd/bar. All’interno del range gli scambi cercheranno di riformare una base per riproporre un nuovo rally. Il successo di quell’azione potrà costituire uno dei segnali più significativi per verificare l’esaustione del ciclo riflessivo che dall’estate dello scorso anno sta governando i mercati. Nel frattempo pensiamo che alcune asset classa potranno costituire un’area preferenziale per parcheggiare la liquidità: i Treasury, l’oro, e benché in antitesi con quest’ultimo a corrente alternata il dollaro. La moneta americana nella confusione del referendum rappresenta l’hedging naturale verso sterlina e probabilmente l’euro. Pensiamo che il range rimanga sempre strutturato all’interno della gamma di valori che abbiamo osservato nell’ultimo anno: 1.16 ed 1.06. La tenuta di questa banda continua a farci pensare che il trend dominante, benché al momento sopito, sia ancora a favore del dollaro sull’euro.
Nel nostro portfolio model WB>ADVICE manteniamo un atteggiamento prudente da diversi mesi preferendo preservare il capitale piuttosto che cercare performance aleatorie. Per cui la parte dominante risulta costituita da attivi in bond con duration mediamente elevate, US ed Emerging Bond ( quest’ultimi dal dal mese di febbraio) senza coperture sul cambio. A febbraio avevamo apertouna posizione sull’Oil liquidata lo scorso venerdì al test dei 52 usd/bar in ossequio alla verifica del target stimato dal nostro modello.
L’idea di superare questa fase in modo estremamente conservativo è basata sulle opinioni anticipate nei nostri report, ed orientata a catturare le opportunità che si delineeranno alla fine di questa articolata fase riflessiva.
Salva