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REFERENDUM E MERCATI

REFERENDUM E MERCATI: siamo bombardati da voci, articoli, dichiarazioni che che vogliono educare il nostro pensiero. SI o NO. E’ la nervosa attesa di un esito che quanto più è invocato tanto più colora l’aspettativa di timore o paura per la sua mancata realizzazione.

Si osservano i sondaggi e si medita di conseguenza sugli impatti che il voto avrà sui mercati. In queste ultime settimane sono stato ospite di molti incontri per esprimere un parere su ciò che accadrà il 5 dicembre. SI o NO, non è questo il dilemma. La vera attesa è centrata su ciò che la BCE dichiarerà l’8 dicembre in merito alla dilazione del QE.  Ne è la riprova il fatto che in parallelo a quello italiano sia salito anche lo spread spagnolo. I rendimenti sui Bonos erano rimasti sotto l’1% durante tutto il lunghissimo periodo in cui in Spagna non si riusciva a formare un governo, nonostante i ripetuti suffragi elettorali. Recentemente anche il differenziale sul 10 anni tra Spagna e Germania ha subito le pressioni del mercato. Indubbiamente l’Italia somma l’attesa sul referendum a quella più concreta sul prossimo meeting della BCE. Benchè i mercati scontino una prosecuzione del programma, magari con una riproposizione rivista rispetto al QE in scadenza,  lo spread continua a puntare a superare la barriera dei 200 punti base. Il nostro target rimane al momento fissato a 230 b.p..
Purtroppo sotto la superfice mediatica sul referendum, vi sono sempre gli stessi temi che riportano l’attenzione su fondamentali che rimangono estremamente vulnerabili, soprattutto se non si innesca un trend di crescita più robusto. L’equazione debito, crescita e relativa sostenibilità dell’onere, si presta a continue attenzioni da parte degli investitori. Ciò è ancor più vero se si considerano i potenziali cambiamenti che gli Stati Uniti si apprestano a mettere in cantiere con gli interventi annunciati in campo economico e fiscale da Donald Trump. I possibili effetti di un allentamento fiscale ed un grande piano di investimenti su infrastrutture potrebbe spingere la Fed ad assumere un atteggiamento più restrittivo di quanto gli investitori scontavano  prima delle elezioni.
In effetti la reazione al voto americano è stata immediata: rendimenti in forte rialzo e dollaro spinto sui massimi degli ultimi 24 mesi. Nell’Outlook che inviamo ai nostri Clienti avevamo già messo in allerta ad agosto sul rialzo dei rendimenti, mentre sul dollaro siamo positivi ormai da oltre 24 mesi. Abbiamo sempre sostenuto l’idea che le quotazioni del cambio eur usd siano destinate a scivolare verso la parità, mentre sul Dollar Index abbiamo sempre confermato un target intermedio in area 105, pur consapevoli del disavanzo commerciale degli USA. E’ fuori dubbio che i differenziali di crescita tra USA ed UEM siano a favore dei primi sui secondi. I due modelli si ispirano in maniera sempre più forzata a due visioni del mondo completamente divergenti contrapponendo la flessibilità dei primi sulla rigidità dei secondi. Al netto del grande surplus commerciale dei tedeschi, rimane il fatto che nell’Eurozona si continua a parlare da anni di questioni sempre sul tavolo e mai risolte: deficit pubblico, difficoltà a rispettare i parametri imposti dal Trattato, disoccupazione, crisi finanziaria (banche). E’ vero che sia in America che in Europa la gente teme per il futuro, non ha più la visibilità necessaria per sognare, non a caso Donald Trump ha vinto promettendo: Make America Great again.
Ciò che forse ancora persiste è la speranza, il solo bene comune a tutti gli uomini,  sperando che anche coloro che non hanno più nulla la possiedano ancora.

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