EURO DOLLARO: LA DIVISA EUROPEA E COSI’ FORTE?
Le banche centrali temporeggiano nell’assumere iniziative , i mercati sondano consenzientemente terreni inesplorati, ma è corretto ritenere scontato l’avvio del Tapering in Europa ed la sospensione dei rialzi dei tassi in America?
Alla caduta del dollaro sono state attribuiti giustificativi legati all’incostanza dell’azione politica dell’Amministrazione Trump. La politica di detassazione e di spesa per investimenti pubblici annunciati in campagna elettorale non ha prodotto al momento impegni concreti. Tuttavia se la vicenda Russiagate e relativo impeachment non fermeranno l’azione del Presidente e del Governo, essa avrà forti impatti sull’andamento della produzione e dell’occupazione. Già oggi su quest’ultimo aggregato si rilevano statistiche ai massimi valori. Si potrà discutere sulla qualità degli impieghi, ma ciò comporterà comunque risposte in termini di politica monetaria. Il dollaro potrebbe ritornare ad essere nuovamente appetibile. Gli effetti della politica economica di Trump, qualora messi a regime, ritornerebbero ad amplificare i disavanzi commerciali controbilanciando la forza del dollaro. Quale delle due dinamiche si imporranno sulla plasticità della domanda e dell’offerta? Rimarrà attrattiva la performance dell’economia americana? Riuscirà il dollaro ritornare ad attrarre l’eccesso di risparmio non utilizzato dall’Eurozona e del mondo?
L’Euro, principale antagonista del dollaro, riuscirà a convincere gli investitori sull’effettiva irreversibilità del suo corso?
I mercati, scontando un’imminente fade out del QE in Europa ed un contestuale raffreddamento della Federal Reserve sui prossimi rialzi dei tassi ha spinto il cambio euro dollaro oltre la barriera che delimitava il range entro cui si erano organizzate le negoziazioni negli ultimi due anni.
La recente perdita di momentum dei rendimenti sul tratto lungo della curva tedesca, 10 anni, porta ad una rilettura dell’ipotesi sull’avvio del Tapering in autunno. I rendimenti dopo una fiammata oltre quota 0.50% in direzione di 0.70/80 si sono nuovamente raffreddati con un ritiro delle quotazioni sotto la linea di galleggiamento posta a 0.50. Ciò lascia presagire ad un ulteriore discesa degli stessi verso 0,30 che, per quanto possa sembrare frazionale, rimane significativa. La rinnovata riduzione dei rendimenti indica implicitamente che gli specialisti che operano sui bond, non si attendono un’infiammata dell’inflazione in Eurozona. Ciò terrebbe lontano dal target del 2%, secondo gli obbiettivi prefissati dalla BCE, l’inflazione. Vedremo se al Symposium di Jacson Hole, tanto atteso quest’anno, il governatore Mario Draghi sorprenderà o meno i mercati. Il suo intervento è molto atteso. Come pure lo è quello di Janet Yellen dopo la lettura del report sull’occupazione di luglio al di sopra delle previsioni. Forse potrebbe essere proprio il tenore del discorso che terrà il Governatore della FED a focalizzare maggiormente l’attenzione, soprattutto se a fine mese la lettura dell’inflazione riporterà l’indice su basse annua al 1.8%.
L’altro tema che ha spinto l’euro al rialzo riguarda gli avanzi/disavanzi commerciali. L’Eurozona gode di un surplus elevato, mentre gli USA lamentano un deficit strutturale sempre meno politicamente gradito. Da qui l’attenzione degli operatori acutizzata dall’irritazione politica, ha spinto l’euro dollaro sopra i limiti citati. Eppure il 90% del surplus generato in Europa è riconducibile ai paesi del nord, Germania in testa. Da qui l’ulteriore irritazione politica verso l’insostenibile squilibrio monetario attivo nel perimetro regionale in cui si scambia l’euro. Quest’ultimo dissimula da tempo una delle grandi questioni politiche che tra le tante incongruenze alimentano l’antagonismo valutario tra i diversi poli economici.
A settembre si vota in Germania e, con l’elezione del Bundestag si conclude, Italia a parte, la lunga stagione distorsiva delle elezioni in Europa. Potrebbero aprirsi, gioco forza, nuovi capitoli nell’architettura dell’Unione per porre in equilibrio il motore monetario? Le convenienze e le rivalità economiche alimentate dalla ricerca della competitività in tempi di bassa crescita sono tali da lasciare aperta la domanda ad ogni risposta. Ma se l’euro contro il dollaro dovesse ritornare a scambiare nuovamente sotto 1.15/1.14 ed il 10 anni Germania sotto la barriera 0.30/20%, significa che i mercati potrebbero iniziare a scontare una lettura diversa da quella recentemente raccontata da molti osservatori. Qualora invece non dovesse aprirsi una finestra di discussione politica sul merito e l’euro fissare i limiti della correzione, che in preparazione al meeting di fine mese sta spingendo il cambio a collaudare le reazioni del mercato, sopra 1.15, dovremmo considerare i rischi per nuovi apprezzamenti dell’euro sul dollaro probabilmente in direzione di 1.22.