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BREXIT: SELLING ENGLAND BY THE POUND

BREXIT: SELLING ENGLAND BY THE POUND

1973 – 2016 BREXIT . In Gran Bretagna gli anni Settanta sono stati vissuti e percepiti fortemente come un momento di decadenza: dell’occupazione, del lavoro, del ruolo internazionale della Gran Bretagna. Alla fine del decennio il primo ministro laburista James Callaghan replicò ad un giornalista che lo intervistava sulla crisi: “Crisis? what crisis?”. Era un po’ il segnale della forte incomprensione e separatezza esistente fra la classe politica e la realtà. Nel 1973 epicentro della crisi economica e politica internazionale, Peter Gabriel, poeta musicista del progressive rock inglese, in una delle sue opere più riuscite, Selling England By The Pound, denunciava nell’austerità della tradizione, spesso confinata alle sole apparenze, la “svendita” del Paese a meri interessi finanziari ed economici. In realtà l’opera trae ispirazione dai contenuti di un manifesto del Partito Laburista dell’epoca che denunciava il disorientamento della gente che iniziava ad interrogarsi  sulla fine di un sogno, sulla fine di quell’ Inghilterra potenza industriale, militare, navale, economica; quell’Inghilterra padrona e imperialista che lentamente andava sgretolandosi.  I nuovi miti , secondo Gabriel, erano una pancia piena (per i giovani) o un vestito bello (per i vecchi). I sogni non sono più quelli affidati alle flotte di navi che trafficavano in lungo ed in largo per gli oceani cercando fortuna o arricchendosi con la pirateria autorizzata da regi decreti, ma si fanno più borghesi; si cerca di dare fondo alle riserve accumulate in due secoli di dominio incontrastato, leccandosi anche le ferite inferte da una guerra devastante, attraverso la corsa al consumismo o la lettura dei tabloid scandalistici che, attraverso lo scempio delle vite altrui, fanno diventare spettacolo pure i guasti di una società al capolinea. E così, pound dopo pound, si smaltiscono i resti dell’Inghilterra che fu. Gabriel non è un nostalgico, ma sicuramente dà, di questa nuova società, un’immagine ancora più negativa di quella passata, se non altro segnata anche da grandi slanci e grandi ideali. Secondo il musicista, la follia consumista si impossessa di tutto, mischiando le carte in modo che non siano più interpretabili in maniera coerente; un’ordalia di danze e gesti senza senso che fanno ammuffire anche il Santo Graal, così caro alla tradizione britannica quale simbolo leggendario di un periodo felice e pieno di speranza.

Britannia : quella Gran Bretagna di cui si cantano antiche glorie e recenti disastri, l’amore, la letteratura, il consumismo, le battaglie fra le gang di strada, la difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, la fine dell’impero e della civiltà industriale. A quel disagio culturale, prima che sociale, l’Inghilterra risponde  aderendo proprio in quel 1973 alla CEE, Comunità Economica Europea.
Dopo quasi cinquant’anni il popolo inglese ritorna a legittimare o meno quella scelta.  Ancora una volta i temi di fondo sono il disagio culturale prima ancora che sociale.
Il disagio diventa politico nella misura in cui l’Unione impone regole e condotte sempre più unilaterali, proponendo i vantaggi dell’uno sulla precarietà dell’altro.
Le opinioni pubbliche sentono sempre più lontana la politica percependo un vuoto di rappresentatività dei bisogni che trova nella reazione referendaria  l’unica via di fuga verso il realismo. I mercati sono altrettanto interdetti. Le cicatrici ancora aperte delle ultime crisi non trovano coagulanti durevoli in grado di resistere alle rinnovate percussioni di ogni singola minaccia. Le banche centrali, anziché consentire ai mercati di trovare un equilibrio da cui ripartire, si oppongono ad ogni singola manifestazione di crisi negando la realtà. Evidentemente sul piatto ci sono interessi così importanti da alterare le normali regole della price discovery.
Il problema è che gli investitori pur beneficiando del controllo delle banche centrali, non riescono a declinare i timori e le incertezze, rimanendo di fatto trattenuti dal dubbio e dalla preoccupazione che, presto o tardi, tutto dovrà essere processato dal giudizio universale.
Tradotto in numeri, ciò riporta l’indice più controllato in assoluto, lo Standard & Poor, ancorato sui massimi, mentre via via che ci si allontana dal cuore i mercati accusano proporzionalmente perdite piuttosto vistose.  A trattenere i mercati sono oggi Brexit, domani la situazione Greca, dopodomani le nuove elezioni in Spagna,  quindi il voto alterato in Austria, un po’ più lontano la Cina e sullo sfondo le Presidenziali Americane.  Tutti eventi che in realtà hanno un unico comune denominatore: bassa crescita quandanche rigorosa stagnazione.
Le contingenze di questa ripetuta realtà  propongono una lettura dei mercati che appare alterata. In America si registra una seria battuta d’arresto dell’occupazione, gli indici sulle aspettative di crescita rallentano sino a rigare i limiti che separano lo scenario espansivo da quello recessivo. In Europa, dopo una partenza positiva nel primo trimestre, gli stessi indicatori rallentano  sia sul comparto manifatturiero che in quello dei servizi. A livello globale continua la perdita di momentum della crescita. Nelle anomalie delle anomalie, sale invece il petrolio, come se domani qualche grande paese dovesse chiudere la produzione o aumentare clamorosamente la domanda.  L’Opec si sgretola per la terza volta di fronte ad un accordo ed il prezzo sale sino a sfiorare il nostro target, lanciato a 52 usd/bar ancor quando qualche investment bank stimava cadute a 20 usd.
Indubbiamente ci sono degli anticorpi che lavorano contro i virus di un libero mercato. Potrebbe far piacere avere al proprio fianco un bodyguard di ultima istanza, ma se le tutele messe in campo contravvengono all’integrità dei mercati, appare chiaro il disorientamento dovuto all’assenza di un’azione chiarificatrice della price discovery, utile a promuovere la ricerca di un valore condiviso e riconosciuto come tale.
Oggi questa chiarezza manca negli algoritmi degli investitori. Per cui ogni decisione assume ruoli e contorni privi di una vera rete di protezione, tipica di un mercato libero di definire i valori tangibili.
A fianco di una guerra valutaria si stanno posizionando  batterie di controllori che alterano tutti gli equilibri. Per tutta risposta, i risparmiatori evoluti e meno vanno alla ricerca di soluzioni d’investimento estreme. L’estremo sta per le condizioni di sicurezza, non credono ai mercati, per cui cercano certezze. C’è una tale sete di sicurezza, che oggi vanno a ruba prodotti come le gestioni separate, bond con rendimenti inesistenti. In Italia questa ricerca appare ancor più esasperata dall’esperienze delle risoluzioni bancarie.
La richiesta di strumenti sine cura è tale che sono pronti allo studio prodotti che sono in grado di garantire in perpetuum  il tasso fisso all’1/2%! Sono i bond governativi a 50 o 100 anni. Con i rendimenti ormai negativi su gran parte della curva, questi strumenti saranno accolti con il plauso dei giornali.
Avremmo finalmente qualcosa che ci garantirà per sempre la sicurezza!
Domanda: cosa accadrà nel momento in cui ripartirà, come tutti speriamo, il rialzo dei tassi anche in Europa? Tutti i bond comprati oggi all’1% subiranno drastiche perdite. Figuriamoci quelli con scadenze a 50 anni: ad ogni punto di rialzo dei tassi il corso dei bond relativi potrebbe subire perdite pari al 18%. Vi è il rischio concreto che gran parte degli investitori privati a quel punto decida di portarli a scadenza per recuperare il capitale perso! Congelando il proprio patrimonio.
Sempre sottolineando i rischi raccomandiamo di osservare lo spread ormai stabilmente vicino ai livelli di guardia, 150 punti base. L’accumulo di stock del debito preoccupa i mercati; la loro fiducia è temporanea e correlata esclusivamente all’azione di allentamento monetario della BCE, ovvero al costante acquisto mensile riservato ai bond governativi
fintantoché mantengono la condizione di Investment Grade.  Ogni atto del Governo o della Commissione Europea, ogni evento politico, ogni polemica tra una cancelleria e l’altra, rischia di mettere in allerta quanti investono su queste latitudini, dove proprio per il rischio emergente conservano ancora un rendimento positivo.
Brexit (FT.brexit-polling) minaccia direttamente questo precario equilibrio. Probabilmente l’effetto dirompete più concreto nel caso di un esito favorevole al referendum sta proprio nelle minacce che si ripercuoterebbero sull’intera architettura dell’Unione Europea. E con essa la perdita di credibilità dell’azione di controllo della BCE Sul QE e sulla dinamica dei tassi. L’Italia e tutti gli altri paesi periferici, rappresentano la linea di trasmissione diretta del contagio.
I mercati ne trarrebbero le inevitabili conseguenze punendo  i relativi mercati azionari.
Il timore che si perda la ragione va oltre le apparenze. La Fed (Fed Watch), impegnata a riportare la propria politica monetaria verso la normalità, cerca tutte le possibili ragioni per evitare di mettere mano ai tassi, proprio per non alterare le alchimie costruire per tenere a galla i mercati. Il dollaro ne subisce le conseguenze perdendo terreno sull’euro. In realtà si è instaurato definitivamente una banda che controlla le oscillazioni tra 1,16 ed 1,06 eur usd. L’augurio è che il cambio non vada oltre 1,16.
La permanenza all’interno di questa fascia di prezzi consolida la forza del dollaro e ne predispone le basi per un potenziale nuovo futuro rialzo.

GBP USD
CABLE: GBP – USD 1999 – 2016

Per quanto riguarda la sterlina  il punto di osservazione più significativo rimane quello diretto con il dollaro. Il cable (cambio gbp-usd) dopo una prima caduta si sta riportando nuovamente  verso l’area 1,45/1,47: tale livello costituisce la linea di demarcazione sullo stato di salute della sterlina. Qualora il cambio dovesse recuperare riportandosi oltre 1,47, avremmo un segnale di riabilitazione della moneta inglese anche contro euro. Diversamente cadute sotto 1,40 rappresenterebbero lo scenario meno desiderabile e più critico per i mercati.
FTSE 100
FTSE 100 1996 – 2016

In ogni caso è bene considerare che nell’eventualità in cui Brexit sarà il nuovo domani,  il Regno Unito disporrà di un periodo di due anni per discutere dei suoi nuovi rapporti con i partner europei. Si tratta di un periodo piuttosto lungo che potrà causare notevole incertezza e pregiudicare la crescita degli investimenti e della produttività. Si aprirebbe una trattativa immediata sulla questione delle barriere commerciali.
Infatti, se il Regno Unito dovesse rimanere comunque nello Spazio Economico Europeo (SEE), dovrebbe pagare un contributo all’Unione ed essere soggetto a barriere non tariffarie. Un ulteriore effetto fortemente temuto dalla comunità finanziaria riguarda la cancellazione del Passaporto Europeo sui prodotti finanziari scambiati a Londra. I mercati si sposterebbero verso il Continente, e ciò avrebbe un grande effetto marginale sul Pil britannico.
 
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