BREXIT: I TIMORI DEL MONDO CORPORATE
Siamo alla vigilia del referendum BREXIT, il voto analizzato attraverso i sondaggi di opinione si sta allineando verso il remain. Gli scarti dei sondaggi riportano mediamente un elevato range degli indecisi, mentre presentano tuttora una percentuale non ancora del tutto soddisfacente per mettere al sicuro l’esito elettorale per quanti temono scenari catastrofici.
L’eventuale catastrofismo nasce dall’idea che il pound possa subire le aggressioni speculative simili a quelle affrontate nel lontano 1992, quando nel mese di settembre si votò in Francia sempre per un referendum sull’Europa e, peggio ancora, mentre si discuteva animosamente sul livello dei tassi ufficiale praticati dalle banche centrali nel continente. In particolare la Bundesbank, impaurita dalle pressioni inflattive conseguenti alle spinte prodotte dall’unificazione delle due Germanie, nonchè dal cambio alla pari dei marchi scambiati ad est ed ad ovest, minacciò di portare il Lombard rate oltre il 10% fissando un picco a 9,75. Il livello creava comunque pressioni su monete indebitate e come sempre governate da economie in difficoltà, l’Italia in primo luogo.
La dialettica politica che si aprì tra Italia e Germania, allargata successivamente ad altre aree, quali l’Inghileterra, spinse il mercato a speculare contro le due monete in quanto incapaci di sostenere il rapporto concorrenziale determinato dall’equilibrio imposto dai tassi tedeschi. Esplode la crisi valutaria: lira e sterlina escono dal Sme (il Sistema monetario europeo, che legava le valute partecipanti a una griglia di cambio predeterminata) e il rendimento dei titoli di stato schizza all’insù. Venerdì 11 settembre i tassi sul mercato monetario arrivano a sfiorare il 40 per cento. Anche l’esito positivo del referendum francese sull’Unione monetaria europea (con esigua maggioranza di sì), il 20 settembre, allenta solo in parte le tensioni sui mercati. Per capire il perché della crisi bisogna tornare indietro di tre mesi: il 2 giugno i cittadini danesi si pronunciano, seppur di misura, contro la ratifica del trattato di Maastricht. «Una scintilla apparentemente trascurabile quale un referendum in uno dei paesi più piccoli d’Europa, fa divampare un incendio senza precedenti nel cantiere della costruzione economica e monetaria europea»: così scrive Fabrizio Saccomanni, (direttore generale della Banca d’Italia), nel libro “Il cammino della lira da Bretton Woods all’euro”, edito nel 2007 in occasione dei cinquant’anni del Forex Club. «I mercati sono rapidissimi a realizzare le implicazioni del referendum e un’ondata speculativa senza precedenti investe anzitutto le valute Sme le cui economie presentano maggiori criticità sul fronte dei fattori fondamentali, rendendo le parità poco credibili: la lira è una delle vittime più colpite».
L’Italia, dopo una lunga estate con la lira schiacciata sulla parte alta della banda SME, abdicò con l’accordo dell’allora ministro Giuliano Amato ed il cancelliere Helmut Kohl.
Alla ripaertura dei mercati del lunedì successivo al vertice di Berlino la diga imposta dalle bande di protezione dello SME sisbriciola sotto la pressione delle vendite di lira e sterlina verso il marco.
Oggi si teme che l’esito BREXIT sull’Europa possa produrre gli stessi effetti per la sterlina.
Il cambio, diversamente dal 1992, è oggi al centro di due forze diverse: dollaro ed euro. Il primo effetto potrebbe accusarlo proprio nei confronti della moneta americana ed a cascata nei confronti dell’euro.
Il Cable (rapporto gbp-usd) dopo sensibili oscillazioni circoscritte da un ampio livello di volatilità si portato in queste ore proprio a ridosso di quota 1,47, livello violato agli inizi dell’anno proprio in vista del referendum. Il timore per molti operatori e money managers di aziende è che in caso di una vittoria del leave, il mercato possa spingere i prezzi verso nuovi minimi sino a paventare una caduta del cable in direzione dei minimi storici fissati nel 1980 a 1,10. Il movimento di riflesso sull’euro spingerebbe a sua volta la sterlina verso area 0,95.
Le previsioni di voto favorevoli al remain tolgono in parte la tensione dei gioni precedenti; soprattutto consentono al mercato di allineare i tassi di cambio in prossimità di livelli la cui violazione oltre 1,47 gbp-usd, annulla gli effetti paventati riportando in un diverso equilibrio il mercato dei cambi, che rimangono sempre la vera spia sul funzionamento dei fondamentali.