Siamo all’esame di ammissione al corso di Tecnica dei Mercati Mobiliari, il docente propone una serie di esercizi per conoscere la preparazione degli studenti che intendono iscriversi. Il primo di questi riguarda un tema piuttosto semplice su come allocare le risorse finanziarie nell’ambito di un unico impiego obbligazionario date una serie di opportunità: bond governativo a 10 anni, rendimento 2%, contro un altro bond governativo stessa duration, rendimento 0,2%, con rating di merito paritario.
In considerazione dell’ovvietà della risposta al quesito, lo studente si chiede se la soluzione nasconda o meno una qualche forma di insidia e prova quindi ad immaginare quale sia la conclusione corretta.
Si chiede quindi se i due bond siano denominati nella stessa valuta e prova ad ipotizzare che uno sia in euro e l’altro in dollari. Ma quale dei due corrisponde al classamento corretto?
Avendo dedicato una buona preparazione al test si è documentato in modo piuttosto approfondito. E’ al corrente che la BCE ha lanciato da un anno un importante programma di stimoli monetari per sostenere una crescita problematica nell’Eurozona. Ha letto che a dicembre la Fed ha alzato i tassi e che recentemente si sia posta più volte il problema di come alzarli ancora in futuro, anche perché nel frattempo l’inflazione è salita verso i target desiderati dalla banca centrale americana. Inoltre l’occupazione esprime livelli di crescita ben al di sopra degli standard attesi. Mentre come detto l’economia dell’Unione arranca, con non pochi problemi nelle aree periferiche, quella americana pur senza grandi trionfalismi è entrata all’ottavo anno di crescita.
Indubbiamente il bond che stacca la cedola più alta è quello in dollari.
Il quesito successivo cerca di comprendere la conoscenza del mercato dei cambi: in linea generale, dato lo stesso merito creditizio a due paesi che emettono con diverse valute, dove il primo remunera al 2% il secondo allo 0,2% a parità di duration; le loro economie esprimono la prima, condizioni di crescita ed inflazione al rialzo, la seconda, stagnazione e deflazione. La prima è governata da una politica monetaria cautamente restrittiva, la seconda con un approccio estremamente accomodante. Domanda: quale moneta si apprezzerà maggiormente?
Lo studente questa volta non ha dubbi, eppure in un recente post pubblicato in rete ricorda le parole di un famoso analista che si chiedeva come mai nonostante il livello così massiccio di stimoli monetari l’euro si sia apprezzato sul dollaro.
Preso dallo sconforto abbandona anzitempo la verifica; il ragzzo si alza ed esce dall’aula borbottando: perché devo frequentare un corso in cui ciò che mi insegnano è esattamente opposto a quanto accade nella realtà? Qual è il senso?
Nell’ultima settimana molti autorevoli analisti si sono chiesti se le banche centrali non si siano accordate per raffreddare la forza del dollaro con l’obbiettivo di prevenire ulteriori crisi derivanti dagli emittenti in dollari presenti sui mercati emergenti, per evitare ulteriori discese del prezzo del petrolio ed al contempo agevolare le imprese americane ovviamente penalizzate dal dollaro forte sia sull’export, sia sul fronte del rimpatrio degli earnings. Al netto delle possibili macchinazioni, rimane il fatto che oggi gli USA capitalizzano i risultati delle loro politiche di sostegno monetario verso la crescita del prodotto lordo, dell’occupazione ed il raggiungimento dei target d’inflazione. Gli Stati Uniti non saranno il paese delle meraviglie, ma messi in relazione con le altre aree del mondo palesano maggior forza relativa.
In un mondo normale tuto ciò si tradurrebbe in un trend dominato da flussi di acquisto verso il dollaro, ma una generale privazione di senso si accompagna a infiniti significati da cogliere al volo e perdere subito. Il rigore del regime e il caos più ingovernabile coesistono, come pure il dominio della quantità e la smaterializzazione delle cose, la razionalizzazione estrema e l’alienazione.
Tali contenuti, tematizzati da generazioni di pensatori e scrittori di frontiera, oggi sono condizione vissuta e condivisa dalla popolazione degli investitori mondiale, costringendo all’impotenza un chiunque che sul modello del suo sapere aveva presunto di essere competente. Ma la nuova normalità, di cui celebriamo ogni giorno le inedite moderazioni, ci impone di rientrare in trincea e rileggere quei modelli con le lenti di un nuovo mondo. Un tempo era il mercato a vincere sulle banche centrali, oggi sono quest’ultime, nostro malgrado, a dettare il modello.
Gli Hedge fund chiudono per incapacità interpretative, nuovi attori nascono privi delle incrostazioni del passato. La competizione si ripete ed il quesito rimane sempre lo stesso: la moneta -buona- scaccia sempre quella -cattiva-?
Il doppio minimo sull’euro dollaro che si è formato a 1,05 raffredda le attese su un ulteriore indebolimento dell’cambio verso la parità e oltre. Il range che si è ordinato attorno a questo doppio minimo quota un limite in area 1,15/1,17. Come abbiamo già scritto l’equilibrio si colloca a 1,10. Statisticamente i doppi minimi evolvono verso la formulazione di un segnale d’inversione del ciclo dominante.
Ciò significherebbe che l’euro sta accumulando per invertire la tendenza che dal 2014 ha spinto i valori verso la base della fascia indicata. Usiamo il condizionale in quanto, non troviamo al momento alcun fattore fondamentale che possa scacciare il dollaro da un framework positivo. E’ difficile oggi immaginare l’Unione Monetaria Europea con un euro oltre 1,20/1,25. E’ difficile pensare che gli investitori vendano i loro dollari per sottoscrivere emissioni con rendimenti negativi o nulli. Or dunque benché le banche centrali abbiano dimostrato di dominare i mercati i dubbi sulla capacità di invertire una tendenza rimangono aperti. Ciò nonostante non rileviamo al momento segnali che possano confortare nel breve l’attesa per un radicale ridimensionamento dell’euro, nonostante lo straordinario perimetro dato al Qe in Eurolandia. Le recenti ipotesi lanciate dal capo economista della BCE, Peter Praet, in un’intervista a Repubblica, confermano che i tempi pianificati dal Regulator per ritornare verso la normalità sono ancora lunghi. Praet sostiene che nel caso in cui lo scenario non reagisse alle misure fin qui adottate vi sarebbero altre opzioni praticabili oltre ad ulteriori riduzioni dei tassi già negativi: -…la nostra cassetta degli attrezzi non è vuota. Ci sono molte cose che possiamo fare. In principio possiamo creare moneta e distribuirla alle persone. La domanda è quando sia opportuno usare questo tipo di strumento veramente estremo-.
Se si osserva l’andamento della produzione industriale tra le macro aree globali si evince che tra tutte le due che navigano in maggior profondità rispetto ai picchi del 2008 (pre – crisi), quella europea e quella giapponese versano in peggiori acque. Spicca in termini di forza quella asiatica grazie al contributo di Cina, India, ed alcune ex tigri. I dati sulla produzione ci consentono di tracciare un ponte con le attese rilevate da JP Morgan sull’andamento della fiducia globale su manifatturiero e servizi. Ambedue gli indicatori continuano a manifestare un rallentamento della crescita attesa. La perdita di momentum segnalata rileva a febbraio una decelerazione dell’output, dei nuovi ordini, ed anche dell’occupazione. L’unico elemento di crescita a velocità più sostenuta rispetto ai precedenti mesi è riconducibile ai prezzi alla produzione. Il dato conferma il rallentamento del commercio globale nel 2015. L’Oecd per il 2016 ritorna a calcolare nelle sue stime una ripresa degli scambi.
Tale segnale sta sostenendo il rilancio delle commodity. Il Crb Index, come previsto nel nostro rapporto mensile di marzo, ha violato al rialzo l’area 170, per cui ci attendiamo un ulteriore spinta in direzione del range190/195. Il petrolio conferma altresì le nostre attese di febbraio scalando un recupero che l’ha spinto a collaudare i livelli medi rilevati nell’ultimo anno. Siamo convinti che i prezzi abbiano ancora la forza per prolungare questa fase di ripresa dopo una breve pausa di consolidamento. Le nostre analisi stimano potenziali recuperi sino a quota 45/47
usd/bar per il Light Crude. il miglioramento delle materie prime, compreso il rame, avrà due effetti diretti sui mercati: consolidamento delle borse e possibile indebolimento del dollaro. A tal proposito dovremmo capire il tenore di questo recupero e, come già scritto nel rapporto mensile, rapportarlo a borse e dollaro. Le prime sono ancora inserite in un cotesto critico. L’unico mercato ad aver recuperato in modo sostanziale è quello americano.
Gli altri indici, a partire dall’Europa, rimangono sempre inseriti in una condizione di riequilibrio rispetto all’ipervenduto registrato a febbraio.
In relazione al recupero dello Standard & Poor 500 facciamo presente che il miglioramento del momentum deriva principalmente dai buy back operati direttamente dalle quotate, mentre i flussi istituzionali (mani forti) hanno registrato volumi netti negativi. In corrispondenza dell’area 2050/60 ci attendiamo un ritorno delle prese di beneficio. Decifrando il timing in termini di valore pensiamo che un ‘eventuale ricaduta che violi 2000/1980 inneschi un nuovo processo di realizzi. In Europa il rialzo degli indici misura ampiezze inferiori e riporta comunque il bilancio ad un anno dal lancio del primo QE ad un segno pesantemente negativo (mediamente -18%). Per l’Eurostoxx 50 il segnale in cui aumenta la probabilità che si riattivino le vendita converge con la violazione di 2950, mentre 3130 costituisce un forte ostacolo al rialzo.
EUR USD