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LA FED TEME IL FUTURO

Lo statement rilasciato mercoledì dalla Federal Reserve nonriporta alcuna sorpresa rispetto alle attese del mercato. Il consensus degli investitori era allineato a quanto Janet Yellen ha dichiarato nel comunicato finale. Tuttavia i toni morbidi dell’Outlook hanno dato forza a quanti ritengono che la Banca Centrale americana non abbia alcuna fretta a mettere mano ai tassi nel breve termine. Eppure le dinamiche inflattive, unite alle statistiche sull’occupazione, imporrebbero quanto meno una maggior severità nell’esprimere giudizi e visione sulle linee di policy.
In realtà la Fed è, a nostro avviPMI USAso, allarmata dall’andamento della crescita negli US.  Il dato sull’indice PMI (Purchase Manager Index) non lascia dubbi sul decadimento della dinamica di sviluppo in più settori dell’economia americana. Rispetto al mese di gennaio, la perdita di momentum dei consumi è significativa, come pure quella relativa all’industria.
Il decadimento delle dinamiche sulla crescita rappresenta un denominatore comune a livello globale.
Eppure le  borse azionarie hanno fatto molta strada nel recupero maturato a partire dalla seconda metà di febbraio. Lo Standard & Poor 500 è salito oltre quota 2000 riconquistando la media a 200 giorni. C’è da chiedersi se i vuoti d’aria che abbiamo sperimentato all’inizio dell’anno ed ancor prima rante la scorsa estate abbiano esaurito i loro effetti intimidatori.
In altre parole abbiamo i mercati che rispondono positivamente al recupero del petrolio, alla tenuta della Cina, alle varie tensioni presenti su più fronti, mentre l’economia reale continua a perdere momentum e soprattutto fiducia sul futuro visibile. Cosa spinge i mercati a sostenere ancora le quotazioni? Indubbiamente l’effetto traino del NYSE riesce a catalizzare l’azione di tutti gli investitori, europei compresi, anzi in qualche modo obbliga tutti a sintonizzare le loro azioni sulla crescita del listino americano.  Tuttavia analizzando i flussi della domanda e dell’offerta emerge ancora una volta il forte contributo agli acquisti da parte dei buy back, mentre sul lato delle mani forti continuano le prese di benficio, meglio ancora le liquidazioni.
Questo atteggiamento conferma quanto abbiamo già scritto in passato documentando l’attuale situazione come lo sviluppo di una lunga fase di distribuzione. Queste fasi anticiapno sempre  periodi di maggior turbolenza. Inoltre l’azione degli Hi Frequency Traders tende ad amplificare determinate situazioni salvo agire diversamente quando gli imput degli algoritmi rilevano pattern  che invertono il loro framework.
Secondo le nostre osservazioni un primo trigger in grado di innescare un diverso processo operativo potrebbe essere dato da regressioni che spingano i valori dell’S&P 500 oltre le soglie dei 2000 e 1980 punti di indice.
 
S&P 500
STANDARD & POOR 500