L’escalation tariffaria non rappresenta più un disaccoppiamento economico, ma sempre più una sfida sistemica. Non si tratta più di una disputa temporanea sugli equilibri commerciali. È un confronto tra modelli di leadership contrapposte in un mondo che sembra voler non essere più disposto a polarizzare gli scambi commerciali prevalentemente sul dollaro. Mentre Washington inquadra questo momento come un necessario freno all’eccesso di potere cinese, Pechino lo vede come l’ennesimo tentativo di rallentarne l’ascesa, in un momento in cui la credibilità dell’egemonia statunitense stessa è messa a dura prova. Il risultato non è semplicemente uno stallo bilaterale, ma una resa dei conti globale. Nelle cancellerie di tutto il mondo i governi stanno rivalutando se il percorso futuro sarà dominato da una singola potenza e moneta o plasmato da un maggior numero di currencies. La guerra dei dazi non riguarderà soltanto il commercio, ma sarà un indicatore del futuro della governance globale.
Il passaggio da un ordine polarizzato sugli Stati Uniti ad uno probabilmente multipolare porterà ad una frammentazione dei dei mercati con forti tensioni geopolitiche nel caso in cui ai dazi vengano contrapposte misure di divieto all’export di commodity hi tech, come le terre rare.
In questa fase, fortemente segnata da un approccio ideologico alla soluzione dei problemi, si rischia di dover affrontare situazioni caotiche che possono degenerare in ulteriore volatilità, incertezza e complessità. Vediamo scenari che mutano nel giro di poche ore, come ad esempio la trattazione sulle tariffe, al punto di scivolare sul farsesco. Il “modello econometrico” con cui sono state calcolate le quote tariffarie è uno di questi. Il Liberation Day parte da queste basi, definendo la golden rule della linea negoziale a cui tutti i governi sono tenuti a rispondere, pur in presenza di una metodologia di stime a dir poco contraddittoria. Ciò nonostante ha spinto i due pesi massimi, Stati Uniti e Cina, a misurarsi su quote, che pur prive di logica, hanno esperito esiti per l’appunto farseschi.
L’escalation della contrattazione costringerà molti governi a soppesare il pragmatismo economico con la lealtà geopolitica. Alla fine dei giochi molti paesi potrebbero dover prendere direzioni diverse e decidere se allinearsi al multipolarismo guidato dalla Cina o rimanere sotto una ancor più stretta influenza degli Usa. Ma questa dicotomia potrebbe non essere così netta. Molti di questi stati sono profondamente assoggettati ad entrambe le sfere: beneficiari di rapporti commerciali, finanziari oppure dipendenti dagli aiuti sulla sicurezza, piuttosto che imbrigliati da patti o vincoli politici.
I rischi di primo impatto per i mercati: rallentamento economico, inflazione/deflazione, tassi d’interesse, riallineamento valutario
La scorsa settimana abbiamo commentato le decisioni della BCE sul taglio dei tassi di riferimento, cercando di contestualizzare il provvedimento declinandolo sull’attuale scenario. Purtroppo in conferenza stampa la presidente Lagarde si è limitata a sottolineare il livello di incertezza senza indicare un percorso su cui sintonizzare un’azione di difesa rispetto al disordine che stiamo affrontando.
La reazione dei mercati al taglio dei tassi toglie molte certezze a cui eravamo abituati. Prima fra tutte il rapporto tra differenziale tassi e comportamento del rapporto di cambio sottostante ai rispettivi rendimenti. Ne abbiamo avuto una preview alcuni giorni prima con il decoupling della curva dello spread dei rendimenti verso l’eur usd. Nonostante il differenziale US Treasury – Bund 10Y fosse risalito oltre i 180 bp l’euro, diversamente dal passato, si è apprezzato, cancellando in pochi istanti un rapporto di correlazione solido e stabile. In queste ultime settimane il cambio ha negato almeno in due momenti l’innesco di una correzione a favore della divisa americana. Il primo con il decoupling dello spread, il secondo dopo il taglio della BCE, lunedì giorno di Pasquetta con mercati illiquidi.
Questi due episodi indicano e confermano che ai dazi dovremmo sommare una potenziale svalutazione del dollaro, accelerata dal disimpegno sugli asset USA da parte non solo della Cina ma anche di molti paesi che cominciano a prezzare un rischio crescente sulla detenzione dei Treasury Bond. Gli investitori stanno valutando se Donald Trump potrebbe ricorrere a soluzioni non convenzionali per provare a tenere sotto controllo il crescente debito degli Stati Uniti, tra cui l’obbligo per i governi stranieri di sostituire i titoli del Tesoro con obbligazioni meno onerose per ridurre gli interessi da pagare. Il debito pubblico statunitense ammonta a 36.000 miliardi di dollari, ovvero oltre il 120% del PIL annuo, e sta aumentando rapidamente poiché il governo spende più di quanto incassa in tasse. Lo scorso anno, il deficit di bilancio statunitense ha superato il 6% del PIL, sebbene il Segretario al Tesoro Scott Bessent abbia dichiarato di volerlo dimezzare. Gli investitori nei mercati obbligazionari, valutari e azionari statunitensi stanno iniziando a prestare maggiore attenzione a queste rischi.
In merito agli impatti sulla crescita globale attendiamo gli aggiornamenti che il Fondo Monetario Internazionale rilascerà questa settimana nell’aggiornamento dello Spring Meeting di aprile.L’attesa è per una revisione al ribasso delle stime rilasciate lo scorso 17 gennaio.
inflazione/deflazione, tassi d’interesse, riallineamento valutario
Storicamente il paese che applica tariffe subisce effetti inflazionistici, quello che le subisce accusa un raffreddamento dei prezzi. Molti economisti calcolano che l’impatto sui prezzi dovuto ai dazi applicati dagli Stati Uniti potrebbe ripotare l’inflazione al 4%. In Europa ci aspettiamo che il tasso scenda e rimanga ancorato al target BCE del 2%. Il rallentamento della crescita inoltre tenderà a penalizzare la domanda su commodity a partire da quelle energetiche. Recentemente i prezzi del Brent sono scesi sotto i 60 usd/bar, fissando un minimo a 58,40 usd, il nostro target stimava un obiettivo a 55 usd. Il Natural Gas TTF a ha fissato una chiusura minima a 33 eur mwh: ci aspettiamo una discesa a 22/21 euro. Su queste basi verificheremo anche gli effetti prodotti dall’interruzione delle forniture da Gazprom, nonostante la presenza di contratti a lungo termine con clausole take-or-pay, quelle che vincolano a comprare annualmente un quantitativo minimo di gas o, in caso di mancato acquisto, a pagarne comunque il prezzo corrispondente.
Il rame è rimbalzato al LME a 9104 dopo aver fissato un minimo a 8534 usd/t nella settimana del crash delle borse.
La BCE ha confermato l’allentamento monetario: si tratta del settimo taglio dal primo effettuato lo scorso aprile 2024. Come confermato nello streaming INSIDE CENTRAL BANK di giovedì ci aspettiamo almeno altri due/tre tagli nel corso dell’anno. Ciò che ci preoccupa riguarda la volatilità dei mercati, azionario, obbligazionario e valutario.
Nell’Outlook per il 2025 delineavamo per l’anno in corso un crash per i mercati azionari ed un contestuale deflusso a favore di quelli obbligazionari. In parte ciò è avvenuto fatta eccezione per due episodi che hanno disturbato la discesa dei rendimenti. Il primo, temporaneo, è maturato con la dichiarazione del neo cancelliere tedesco Merz di annullare il divieto costituzionale al debito e l’intenzione di investire centinaia di miliardi di euro di spesa aggiuntiva per difesa e infrastrutture per i prossimi 10 anni. Il secondo, più problematico, ha visto molti soggetti, governativi e finanziari vendere US Treasury.
Nel caso dei rendimenti sul Bund e sui bond governativi europei pensiamo che la loro traiettoria rimanga ribassista. Certamente gli investitori prezzeranno in futuro un maggior rischio di credito verso i paesi emittenti che espongono rapporti Deficit/Pil problematici. L’Italia ha incamerato un positivo up-grading da parte di Standard & Poor sul rating sovrano. Sul Treasury stiamo aggiornando la nostra view sui rendimenti. Se nell’Outlook 2025 eravamo positivi in tal senso, ed i fatti ci stavano dando ragione, oggi alla luce dei recenti effetti prodotti dalla guerra commerciale tra Usa e Cina non siamo più così confidenti. temiamo un ritorno verso la parte alta del range senza escludere un ritorno al 5%. Quindi tra i rischi di mercato dovremo mettere in conto anche una frammentazione dei trend sui tassi. Le recentissime critiche in tal senso tra D. Trump e J. Powell, presidente Fed, aumentano la percezione dei rischi su dollaro e tassi subordinati all’indipendenza della Fed.
L’eur usd ha superato nella sessione illiquida di lunedì, giorno di Pasquetta, la soglia 1,1425. Nelle ultime settimane ha fallito almeno tre possibili correzioni. Ora il movimento di svalutazione del dollaro fa leva su un primo significativo supporto in area 1,14 ed uno successivo 1,11. L’ipercomprato di euro dovrebbe favorire un teorico (temporaneo) ribilanciamento dei valori, ma qui siamo nell’abisso di una guerra a tutto campo dove il livello di sospensione delle tariffe ha spostato l’attenzione sui mercati. I rischi rimangono ancora al rialzo.
La Fed ritorna a riunirsi il 7 maggio. Per quella sessione di politica monetaria non sono attesi tagli. Si sconta un primo intervento di 25 bp nel Fomc del 18 giugno.
GIOVEDì 8 Maggio alle 9.30 analizzeremo in diretta streaming con INSIDE CENTRAL BANK, gli effetti delle decisioni che il presidente della FED annuncerà in merito alla politica monetaria ed ai tassi d’interesse. Per chi lo desidera postiamo il link per partecipare all’evento organizzato con l’AITI, l’Associazione Italiana dei Tesorieri d’Impresa. [link per ricevere l’invito].
INSIDE CENTRAL BANKle analisi, gli impatti sui tassi di interesse e sull’euro, dopo le decisioni della FED